Le persone xx di genere non conforme dovrebbero curare la propria salute “genitale”, ma è difficile a causa della disforia e della poca preparazione e sensibilità dei professionisti.
Marina Cortese, ginecologa e sessuologa “rainbow” ci parlerà dell’importanza della prevenzione delle strategie da mettere in atto per non trascurarla.
Avere un corpo femminile non significa avere un’identità femminile, o almeno non sempre. Hanno un corpo femminile anche le persone, di biologia xx, che hanno identità di genere maschile o non binaria. A volte queste persone sono in un percorso non medicalizzato, a volte no, ma spesso trascurano la salute relativa agli organi genitali, per via della poca accuratezza e formazione del personale medico. Ma lasciamo la parola alla dott.ssa Marina Cortese, da me conosciuta in quanto relatrice alla presentazione della Piccola Principe di e con Daniela Danna, alla Scighera…
Ciao Marina, qual è la tua formazione?
Sono un medico, mi sono specializzata in ginecologia ed ostetricia e successivamente ho seguito la formazione in psicosessuologia integrata.
Come mai ti senti vicina alla comunità LGBT?
Perché ne faccio parte, in primis. In secondo luogo perché ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso persone che mi hanno trasmesso la voglia di pensare un po’ “più in grande” rispetto alla mia realtà personale.
“Per scelta seguo gratuitamente le gravidanze nelle coppie omogenitoriali e le persone transgender.”
Che tipo di lavoro e volontariato fai in questo ambito?
Svolgendo la professione di ginecologa, la salute sessuale rientra nel mio lavoro quotidiano; la prevenzione contro le malattie sessualmente trasmesse passa anche attraverso la conoscenza delle abitudini sessuali delle persone. La parte legata al volontariato si snoda attraverso una parte educativa/divulgativa ed una clinica. La prima: educazione nelle scuole, divulgazione attraverso i social, incontri pubblici sul territorio e non.
Per scelta seguo gratuitamente le gravidanze nelle coppie omogenitoriali e le persone transgender. Non si tratta di “discriminazione al contrario”: semplicemente ritengo che alcuni vissuti abbiano già avuto abbastanza ostacoli e che, se di comunità si tratta, allora io devo fare qualcosa per sostenere la mia. Stare vicina per scelta e non per compenso economico rende il setting della visita differente per entrambi.
Per un anno ho scelto inoltre di frequentare come medico volontario l’ambulatorio transizioni dell’Ospedale Niguarda: questo mi ha permesso, insieme all’incontro, nuovamente fortunato, con persone T, non solo di conoscere storie, volti, esperienze, aspetti clinici e psicologici ma di maturare personalmente. Da una concetto “assistenzialista e pietistico” della situazione delle persone T, al sostegno incondizionato verso il concetto di orgoglio trans; da “inclusione e accettazione” delle persone T ad inclusione ed accettazione reciproca, come in ogni sana relazione umana. E’ stata una grandissima lezione personale e l’inizio di un percorso nuovo da diversi punti di vista.
La ginecologia è eterosessista? Perché per rapporto completo si intende quello vaginale eterosessuale? perché si da’ per scontato che la paziente sia eterosessuale? Si fa informazione per la prevenzione non etero?
Purtroppo nella formazione del personale sanitario non esiste nulla che riguardi l’orientamento sessuale o l’identità di genere; quello che sappiamo lo impariamo sul campo o per studio personale.
E’ estremamente diffusa la tendenza a dare per scontato l’orientamento sessuale dei pazienti. In realtà una delle prime cose che faccio è sottolineare la possibilità di una compagna e non di un compagno. E’ un piccolo accorgimento ,ma il dire “quando ha rapporti con il suo compagno o la sua compagna, sente dolore?” ad esempio, aiuta l’interlocutore a sentirsi a proprio agio. Peraltro si tratta di un’informazione fondamentale: la trasmissione delle malattie infettive è molto differente a seconda dello stile di vita. Alcune persone non desiderano penetrazione vaginale quindi posso visitarle in modo differente: basta saperlo.
Le frasi dei e delle colleghe: “è sicura di essere lesbica? Forse non ha mai provato! Così non potrà avere figli, è certa? Quando avrà rapporti completi (con il pene) la potrò visitare”
Come viene accolto, oggi in Italia,un ftm, non med o non binary, in visita ginecologica?
Purtroppo non viene accolto e questo spesso dipende anche dai pazienti che rifiutano di sottoporsi a visita ginecologica per paura, per disforia, per esperienze negative vissute in precedenza. Nel mio caso (ma anche nel caso di molte mie amiche e colleghe) non si pone alcuna barriera. E’ sufficiente partire dal presupposto che non necessariamente l’apparato genitale femminile vada caricato di significati simbolici inopportuni: è una parte del corpo come lo sono la mano o le orecchie.
Rivolgersi al maschile al paziente, chiedere in anticipo se è possibile una visita per via vaginale o è preferibile di no, trasmettere con il linguaggio verbale e corporeo il fatto che stiamo solo curando un organo, facendo prevenzione e salvaguardando la salute ,senza pensare di avere davanti una donna solo perché si sta visitando una cavità vaginale, è il modo più sereno per affrontare una comune visita ginecologica, per entrambi.
Nella realtà dei fatti la maggior parte dei sanitari non conosce assolutamente il percorso delle persone trans med , la differenza tra med e non, la realtà non binary. Per cui mi rendo conto che questo possa generare confusione, far emergere pregiudizi o creare situazioni davvero imbarazzanti e spiacevoli.
Quali le peggiori frasi eterosessiste che i e le tue colleghe dicono alle pazienti “rainbow”?
Me ne hanno riferite davvero tantissime, negli anni! Le più comuni sono relative all’orientamento sessuale: è sicura di essere lesbica? Forse non ha mai provato! Così non potrà avere figli, è certa? Quando avrà rapporti completi (con il pene) la potrò visitare.
Anche il dare per scontato che una persona lesbica abbia rapporti non penetrativi è frequentissimo per cui mi capita di vedere pazienti mai visitate prima, che vorrebbero approfondimenti ma vengono trattate in visita come delle ragazzine inviolate. Anche in questi casi: manca semplicemente un minimo di informazione.
“Il corpo fisico esiste e deve essere chiaro che non determina la nostra identità sessuale.”
Cosa spinge un uomo xx a non fare prevenzione e controlli. E’ solo la disforia o c’è mancanza di accoglienza?
Penso che entrambi i fattori entrino in gioco. Da una lato è noto che l’accoglienza potrebbe essere totalmente inadeguata e la visita essere vissuta come un vero trauma; dall’altro oggettivamente molti ragazzi xx “cancellano” la propria anatomia genitale per disforia e rifiutano quindi di prendersi cura della propria salute ginecologica. E’ naturalmente un meccanismo più che comprensibile ma dovremmo cercare di romperlo.
“molti ragazzi xx “cancellano” la propria anatomia genitale per disforia e rifiutano quindi di prendersi cura della propria salute ginecologica”
Statisticamente le persone maschili xx (butch, non binary, non med, ftm med) fanno prevenzione ai genitali?
Sostanzialmente no. Forse mi capita più frequentemente di visitare donne butch, spinte dalle compagne o da amiche. Spesso la prima visita viene effettuata ad età molto avanzate, a 30 e più anni.
Facendo un piccolo paragone: le ragazze etero cis accedono alla prima visita ginecologica intorno ai 15 anni.
Quali i rischi per la persona maschile xx che non ha rapporti con uomini? E quali le prevenzioni da mettere in atto?
In realtà molto dipende da come viene vissuta la sessualità nella pratica. La penetrazione vaginale, che fa comunque parte della sessualità di molti ragazzi xx, richiede l’utilizzo di metodi di barriera (anche su eventuali toys) nelle situazioni di sesso occasionale. I rapporti orali andrebbero protetti con il dental dam.
Lo sfregamento dei genitali, anche in assenza quindi di penetrazione, si associa alla trasmissione di condilomi o herpes, ad esempio. Insomma, la situazione va studiata “su misura”.
Un ftm gay è maggiormente a rischio MTS o sono solo stereotipi?
Anche qui dipende dal tipo di sessualità che si mette in atto. Statisticamente purtroppo la popolazione sessuale gay è a rischio maggiore per moltissime MTS per la scarsa diffusione di metodi di barriera. In generale il sesso anale espone a rischi maggiori rispetto ad esempio al sesso vissuto tra donne lesbiche esclusive.
Le donne bisessuali sono più a rischio di quelle lesbiche esclusive. Se un maschio gay ftm non pratica sesso anale o orale o vaginale, sarà a rischio bassissimo. Insomma: non esiste un modo per provare piacere durante il sesso.
Ciascun* utilizza il proprio corpo come preferisce: il parlarne liberamente, in visita, ci aiuta molto a fare prevenzione e magari a migliorare la qualità della vita sessuale.
Quale importante lavoro culturale andrebbe fatto per avvicinare la prevenzione alle persone ftm, non binary e non med?
Sarebbe necessario lavorare su due fronti, credo. In primis: formare i medici. Dei semplici incontri monotematici dedicati al personale sanitario aiuterebbero ad avere nozioni mediche importanti ma anche ad utilizzare il giusto linguaggio ed il giusto atteggiamento verso i pazienti.
D’altro canto ritengo importanti degli incontri rivolti proprio alla popolazione ftm, non binary e non med. Conoscersi, trasmettere l’importanza della prevenzione, rassicurare, rispondere a domande, fornire magari qualche elemento di prevenzione o di auto diagnosi sarebbero già un passo avanti importante.
“Non siamo costretti ad amare il nostro corpo ma a conoscerlo e curarlo certamente sì.”
Sarebbero necessari spazi in cui il maschile xx parla del suo corpo di nascita? E se sì, come gestire questi spazi senza accendere la disforia?
Sarebbero bellissimi, più che necessari, degli spazi di questo tipo. L’accettazione del proprio corpo passa attraverso il dialogo, il racconto di sé, l’esplorazione di sé.
Il corpo fisico esiste e deve essere chiaro che non determina la nostra identità sessuale. E’ solo presente: può essere o meno fonte di piacere, può essere certamente fonte di patologia o di rischio, fa parte della nostra storia. Non siamo costretti ad amarlo ma a conoscerlo e curarlo certamente sì. In questo senso l’ascolto del corpo e la sua narrazione, con rispetto e nel setting giusto, anche in gruppi se ci sono la giusta serenità ed il giusto rispetto, porterebbero a vivere la realtà biologica con maggiore serenità senza per questo interferire minimamente con il nostro sentire, la nostra vita sessuale e sentimentale, il nostro percorso personale.
“Il corpo può essere o meno fonte di piacere, può essere certamente fonte di patologia o di rischio”