Quantcast
Channel: Progetto Genderqueer – Non Binary Blog
Viewing all 397 articles
Browse latest View live

Divisione per sessi, competizioni eque, persone trasgender, transfobia gratuita

$
0
0

Ebbene sì, questo articolo non è un articolo “intersezionale”, atto a convincervi di come il corpo di una donna transgender sia equivalente a quello di una donna biologicamente femmina, ma non è neanche un post “gender critical” che sottolinea quanto sia scandaloso il solo pensare che le donne trans (ah già, se fossi uno di loro dovrei dire “i maschi transidentificati in donna) possano concorrere con le donne biologicamente femmine.

Il mio articolo vuole sottolineare un altro aspetto, che è indipendente dalla posizione che si possa avere su “donne transgender e sport agonistici”: il fatto che questo tema è diventato cavallo di battaglia, e cavallo di troia, dei movimenti “gender critical”, fondamentalisti cattolici, e delle estreme destre conservatrici e reazionarie, per delegittimare le persone transgender, la loro rettifica anagrafica, e la loro cittadinanza nel mondo.

Lo sport è “diseguale e ingiusto” per sua natura


Se vogliamo parlare di sport agonistico, penso che il movimento intersezionale dovrebbe interrogarsi sui valori che portano a competere fisicamente non tanto mettendo a confronto la caparbia e l’impegno, ma il vantaggio che “madre natura” ha dato ad alcune persone e non ad altre.
Alcuni sport sono fatti per gli alti, altri per gli esili e magri, alcuni per i robusti e i massicci, e non c’è una reale probabilità che colui o colei che abbia “tanta passione”, ma non i requisiti di base, possa davvero praticare quello sport in modo agonistico.
Lo sport agonistico, in fondo, è un residuo della mentalità del “vinca il migliore”, dove “il migliore” non è relativo all’impegno, ma soprattutto alla “dotazione di partenza”.
E, se a questa tendenza si è cercato di porre rimedio con le Paralimpiadi, sarebbe onesto ammettere che anche in quel caso si tratta di persone che, al netto della disabilità, sono persone fisicamente prestanti.
Rimane tagliato fuori dagli sport la persona “non diversamente abile”, ma non particolarmente dotata nel fisico, rispetto ai parametri richiesti.

 

Quote rosa e premi per sesso: hanno più ragion d’essere?

 

Un altro ragionamento si dovrebbe fare su tutte quelle “competizioni” che sono state divise per sesso: le candidature agli Oscar, ad esempio, o le gare di scacchi.
Per quanto riguarda gli Oscar, di certo, è stato un modo di cominciare a premiare donne in cui, senza la distinzione, le donne non avrebbero mai vinto.
Per gli scacchi, invece, credo che il problema sia più sottile: è un modo di non far sentire gli uomini sconfitti dalle donne.
Potrei fare tantissimi altri esempi, ma il vero tema che sta dietro a questo ragionamento è il concetto di “quote rosa”: al netto di tutte quelle situazione legate alla forza fisica, è necessario dividere per sesso?
Ad esempio, ci sono casi in cui un’attrice donna ha interpretato un uomo ftm (ad esempio, nel caso di Boys Don’t Cry), o attori o attrici dichiaratamente non binary o transgender hanno interpretato persone non transgender (come Ruby Rose in Orange in the new black, o in BatWoman, in cui interpreta una donna lesbica). In quei casi la premiazione dovrebbe essere rivolta al genere del personaggio (quindi la migliore “interpretazione di personaggio maschile/femminile”) o al genere dell’interprete?
Le destre e i gender critical non possono eliminare gli attori e le attrici transgender e non binary, come non possono eliminare i personaggi transgender e non binary, di cui Netflix, Amazon, le serie della DC, quella di Guadagnino, o di Ryan Murphy, sono sempre più pieni.

 

Rendere equo il confronto tra atleti diseguali


Tornano allo sport, già esistono alcuni sport in cui gli atleti vengono divisi per alcune caratteristiche fisiche, oltre che per sesso/genere.
E poi c’è il mondo delle Paralimpiadi, che vede concorrere atleti con “disabilità” molto diverse tra loro, e per cui è difficile ideare strumenti e condizioni per fare competere questi atleti in modo equo: eppure, esistono commissioni e organi di persone competenti, medici, allenatori, atleti, ingegneri, che creano le condizioni affinché la competizione sia sostenibile ed inclusiva, perché l’alternativa sarebbe far competere persone con disabilità identiche, e con lo stesso grado di svantaggio di partenza, ma ciò sarebbe logisticamente difficile e anche umiliante per gli atleti.
Così, esistono quelle che, nel mondo della scuola, chiamiamo “misure compensative e dispensative”. Qualcosa di simile viene utilizzato nelle Paralimpiadi, non vado oltre perché non sono un atleta, né un medico (sono un figlio di medici che volutamente ha fatto altri studi, e mi interessano maggiormente gli aspetti culturali, rispetto a quelli “chimici”), e non si capisce perché queste misure non possano essere estese anche gli atleti transgender, sia in direzione mtf, che ftm, che, tramite diversi dati (non solo il sesso biologico, ma anche altezza, peso, massa muscolare, dati relativi agli esami del sangue), sarebbero paragonati agli altri atleti, individuando potenziali svantaggi e vantaggi, e ponendo rimedio con apposite misure “compensative e dispensative”.
Questo varrebbe sia per gli atleti ftm, che dovrebbero essere messi nelle condizioni di competere con gli uomini biologicamente maschi, sia per le atlete mtf.
Così come le disabilità sono disparate, nella tipologia e nel grado, anche i percorsi transgender sono molto diversi, e cambiano il corpo in modo diverso (o in alcuni casi, non lo cambiano), quindi non capisco perché, vista la simmetria estrema di queste situazioni, non si procede a percorrere la stessa strada nella ricerca di soluzioni eque e sostenibili.
Del resto, se è folle pensare che una persona con una disabilità molto rara concorra “da sola”, nell’impossibilità di metterla in condizioni eque con altri atleti, è folle anche pensare che le persone transgender, statisticamente poche (molto meno degli atleti diversamente abili), e interessate a sport molto diversi tra loro, concorrano “da sole”, o con gli appartenenti al loro sesso biologico.
Ci sono le possibilità di non umiliare una persona transgender che sia anche nello sport agonistico: se non lo si fa, vuol dire che c’è un significato ideologico dietro.

 

Sport agonistico come grimaldello della transfobia



Tornando a noi, le persone transgender già sono molto poche (soprattutto quelle dichiarate e visibili), e possiamo figurarci quante siano quelle sportive, e in particolare agoniste.
Quindi perché questo polverone?
C’è una precisa intenzione ad individuare tutte le condizioni “di confine”, estreme, rare, che in qualche modo fanno risaltare il fatto che una persona viene riconosciuta anagraficamente di un genere ma che, nell’impossibilità di cambiare “sesso”, rimane comunque del “sesso” di nascita, seppur ha portato cambiamenti (ma non sempre), che hanno cambiato alcune caratteristiche fisiche (anche relative alla prestanza).
E così vediamo il proliferarsi di bufale, come quella di Pillon, “indignato” all’idea che una donna transgender di cinquant’anni, alta e slanciata, concorra “con” e “contro” ragazzine di un liceo, bufala smentita perché, come era ovvio, anche per ragioni d’età, la signora era l’allenatrice.
Un altro “grimaldello” delle gender critical, delle destre e degli integralisti cattolici, guardacaso, sono i teenager, ovviamente con tutta la serie di bufale che circonda l’argomento, per rafforzare l’idea che un minore non è abbastanza maturo per dirsi transgender, ma, sotterraneamente, affermare che in fondo nessuno dovrebbe dirsi transgender.
E così, pagine gender critical si riempiono di meme sgradevoli, in cui viene affermato, con la scusa di essere “scettici” per la presenza transgender nello sport agonistico, mettono in discussione l’esistenza della condizione transgender, insinuando, anzi, affermando, che queste sportive si “definiscono donna” solo perché erano mediocri negli sport agonistici.
E così, inizia il cosiddetto “cherry picking”, alla ricerca di casi estremi, di persone che si “dicono donna” per andare in pensione prima, soggiornare in galera in modo più confortevole, provarci con donne non eterosessuali (perché sicuramente prima dovevano essere uomini incel che nessuna donna voleva).

 

Come è meglio agire come comunità LGBT?


Dove sbaglia, a mio parere, la comunità “intersezionale?
Continua a impuntarsi su questioni che sono proprie dei medici, degli allenatori, dei laureati in scienze motorie, di chi è abituato a misurare parametri prestazionali.
Non è il nostro campo, così come non è il campo delle “teoriche femministe gender critical”, né quello dei pontificatori di destra e integralisti cattolici.
Noi attivisti siamo specializzati sulla parte sociale del problema, ed è su quella che dobbiamo riflettere, per sensibilizzare i tecnici ad aiutarci a risolvere il problema, permettendo a ciascuno di fare sport in un modo equo e confortevole.
L’attivismo, quindi, dovrebbe concentrarsi sul vero problema, ovvero che lo sport agonistico sta diventando il grimaldello per delegittimare le persone transgender in toto, la loro rettifica anagrafica, la loro cittadinanza d’esistenza.
L’obiettivo dell’attivismo, principalmente, dovrebbe essere quello di chiarire che le regole dello sport agonistico possono divergere da quelle del riconoscimento anagrafico, e che possono restringere le condizioni di partecipazione anche senza che le persone transgender (quasi tutte non sportive, e comunque non agoniste) debbano rinunciare alla tutela del cambio anagrafico.
L’attivismo dovrebbe sottolineare che mettere in discussione il riconoscimento anagrafico delle persone transgender, anche di quelle non medicalizzate, usando il tema dello sport agonistico, è strumentale. Sono due questioni separate, e lo sport agonistico può adottare norme più restrittive in piena compatibilità col riconoscimento anagrafico delle persone transgender, atlete e non.

L’allarmismo sul “pericolo” di competizioni non eque sta diventando, pericolosamente, una scusa per seminare odio e intolleranza, colpendo tutta quella “zona grigia”, che non ha una precisa opinione sul mondo transgender, e che potrebbe lasciarsi abbindolare da temi “di massa”come quello dello sport, tramite foto scelte ad hoc, che mostrano donne transgender alte e grosse in momenti “fallosi” di sport di contatto.
La comunità di attivisti dovrebbe preoccuparsi del pericoloso “cavallo di troia”, che sta portando le destre, il femminismo gender critical, e i cattolici, a praticare un pesante ed intollerabile misgendering, associato al deadnaming, agli ed alle atlete transgender, ma anche alla comunità transgender tutte.

 


Euforia di Genere e Disforia Sociale

$
0
0

Euforia…disforia…perché usiamo queste parole in relazione all’identità di genere?


Disforia di genere è un termine che nasce in ambito sanitario e direi psichiatrico, ma viene talvolta usato anche da persone della comunità transgender e non binary per indicare quello stato di disagio che riguarda il non essere riconosciuti come appartenenti al proprio genere d’elezione, ma essere ricondotti al sesso di nascita (disforia sociale) o non riconoscere se stessi per ragioni estetiche (disforia fisica o body dysphoria).

Euforia di genere


L’euforia di genere, invece, è quello stato di entusiasmo e pace che la persona raggiunge quando è socialmente riconosciuta per il suo genere (euforia sociale), e/o ha un’immagine coerente con la sua immagine di sé (euforia fisica)

La disforia sociale deve essere sempre associata alla disforia fisica?

Per molte persone esiste solo una disforia sociale, ovvero il profondo stato di sofferenza che si prova quando una persona “misgendera”, ovvero si rivolge alla persona usando il genere grammaticale relativo al suo sesso di nascita.
Le persone che provano solo disforia sociale, e non fisica, non hanno particolare disagio col proprio corpo, o hanno fatto un compromesso, considerando le difficoltà mediche attuali per modificare il corpo garantendo l’indistinguibilità con una persona che in quel sesso c’è nata, sia a livello estetico che funzionale (si pensi, ad esempio, alle ricostruzioni genitali ftm, ancora molto indietro).
Sono persone che, tutto sommato, anche senza intraprendere percorsi ormonali e senza fare interventi, starebbero bene se le persone si rivolgessero correttamente a loro, valorizzando il loro genere, e non usando i pronomi coerenti col sesso di nascita.
Le persone con disforia sociale spesso intraprendono percorsi di visibilità transgender senza medicalizzazione.

Il bellissimo monologo di Agrado (Tutto su mia madre) sull’essere autentici

Le persone con disforia sociale e non fisica sono considerate “meno autentiche”?

I movimenti delle destre conservatrici, degli ultracattolici, e del femminismo gender critical, ma anche la frangia più binaria delle persone trans (i “transmedicalisti”), prendono le distanze dalle persone con disforia solo sociale e/o “non med”.
Addirittura, non considerando la “disforia sociale” come una vera disforia, dicono che sono persone “non disforiche” che “si spacciano” per trans senza esserlo, ed è per questo che rivendicano l’uso del desueto “transessuale” per descrivere se stesse, opponendo termini come “non binary”, “queer” e “transgender” per descrivere le persone con disforia sociale, termini che di per sé non sono negativi (anche se una persona “non med” non è per forza queer o non binary), ma sono loro a dare a queste persone e alla loro condizione un’accezione negativa per ritenerle “esterne” o “intruse” rispetto alla comunità T.

Come lavorare sulla propria disforia sociale?

Il miglior modo è fare autocoscienza con altre persone transgender in percorsi non canonici, e che non hanno il cosiddetto “passing, o che, non essendo in percorsi “med”, magari non lo avranno mai, o addirittura non lo vogliono, rivendicando comunque la loro cittadinanza nel mondo e l’inclusione per il proprio genere d’elezione.
L’autoironia, il sapere che non si è soli, possono aiutare tanto, perché solo una comunità può dare strumenti per affrontare la quotidiana sofferenza dell’essere stranieri in patria, appartenenti ad una subcultura sconosciuta e invisibile. Di certo, potrebbe aiutare anche una buona psicoterapia, ma è pur vero che pochi, pochissimi, sono i professionisti formati sui percorsi transgender non canonici e non medicalizzati, e si rischia di pagare per formare il professionista, o intraprendere bracci di ferro infiniti con chi non ha strumenti per alleviare il proprio dolore.

Webinar 8 marzo “uomini dalla parte delle donne” by Europa Verde Milano

$
0
0

Vi invito con piacere al Webinar denominato “Uomini dalla parte delle donne”, organizzato da Europa Verde Milano.
Oltre a me, interverranno Matteo Flora, fondatore di #permessonegato, iniziativa contro il revenge porn, e Abi Zar, attivista intersezionale.

Link evento

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, il gruppo Donne Verdi di Milano propone un incontro con tre uomini che possono essere considerati ottimi alleati contro diverse forme di discriminazione:
Nathan Bonnì, Presidente Onorario del Rizzo Lari, fondatore di “Progetto Genderqueer – Cultura Transgender non med” e architetto;
Matteo Flora, Professore a Contratto di Corporate Reputation e fondatore di Permesso Negato contro la pornografia non consensuale;
Abi Zar, giurista italoghanese, attivista contro razzismo e sessismo.

Modera Serena I. Volpi, accademica specializzata in letteratura, critica postcoloniale e studi di genere.

Gruppo di autocoscienza Transgender, Non Binary, Non Med, su Telegram

$
0
0

Nasce un nuovo gruppo, dedicato alle persone Transgender in percorsi non canonici,
Non Binary, Enby, Non Med, di Genere Non Binario, per fare autocoscienza.

 

 

Se puoi vuoi rimanere aggiornat* sul Blog, abbiamo anche un canale

Tè Verde con Nathan, sulla proposta di legge Zan

$
0
0

La legge Zan e l’identità di genere.

Donne Verdi di Milano

Questa settimana la legge contro l’omobitransfobia (Ddl Zan) è stata bloccata in Senato. Durante il nostro tè verde settimanale, parliamo di questa legge e dell’importanza del concetto di “identità di genere” in essa contenuto con Nathan, ideatore del Progetto Genderqueer, fondatore del movimento “transgender non med” italiano e architetto. 

Evento Facebook

Non Med, per una cittadinanza d’esistenza, articolo per Orione, fondazione Sinapsi

$
0
0

Finalmente è uscito il mio articolo dedicato alla condizione Non Med, per la rivista della Fondazione Sinapsi, chiamata Orione, e distribuita in molte reti prestigiose.

Si tratta del numero 22, dedicato al Genere

Qui potete leggere il mio articolo, “Per una cittadinanza d’esistenza“.

Per questo numero di Orione, il 22, la redazione ha scelto il tema “Genere”.
Cosa intendiamo quando parliamo di genere? Quale relazione esiste tra sesso e genere? Le differenze tra mascolinità e femminilità sono naturali e immodificabili oppure si tratta di costruzioni sociali? Quando una nuova vita viene al mondo, le viene assegnato un sesso – maschio, M, o femmina, F – in base ai suoi organi genitali esterni. Un tempo con “sesso” si indicavano anche altre qualità di una persona, attinenti al suo comportamento e non solo alla forma del suo corpo. Poi a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca psichiatrica, sociologica e antropologica americana ha cominciato a usare il termine “genere” per distinguere i due aspetti. Molto tempo è passato ma ancora oggi le comunità non sono ancora completamente inclusive rispetto alle diversità di questo tipo. La riflessione sull’identità di genere non può essere più rimandata in una società in cui una persona non sempre si trova a suo agio nella descrizione binaria uomo/donna. Secondo Simone de Beauvoir, «Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna». Abbiamo affrontato il tema dell’identità di genere non solo da un punto di vista biologico, ma anche socio-culturale e psicologico. Ogni persona ha diritto all’autodeterminazione del sé, indipendentemente dal destino biologico che gli capita alla nascita. Attraverso il linguaggio, la religione, le tradizioni, il cinema, il teatro, il mondo della cultura in generale, da questo numero è uscita una riflessione che va al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni, per cercare di capire come costruire ponti al posto di muri per includere in una vita degna di essere vissuta ogni essere umano.

PNL, call center e nome anagrafico ripetuto a bomba

$
0
0

Come persona transgender che non può rettificare i documenti, sto molto attento a compilare moduli, ovvero compilo tutto ciò che è informale usando il nome Nathan, e cerco di limitare il più possibile i moduli col nome anagrafico (SPID, questioni bancarie, sanitarie e poco altro).
Fino a pochi giorni fa non esisteva persona che conosceva il mio numero di telefono e, contemporaneamente, anche il mio nome anagrafico, e questo mi rendeva sereno, perché rispondere a quel numero, fossero stati clienti, studenti, amici, giornalisti per interviste, mi garantiva la possibilità che il mio nome anagrafico non fosse pronunciato.

Poi, spinto da problemi tecnici legati alla Wind, ho deciso di cambiare operatore, e passare a Fastweb, un “travaso” di lacrime e sangue, visto che la Wind mi bombarda ancora con fatture emesse anche dopo mesi dalla mia “dipartita”, ma non è questo l’unico problema (che sarebbe una rogna anche se non fossi transgender): la fastweb ha “fornito” il mio numero di telefono ad una serie di venditori che mi “garantiscono” promozioni eclatanti in quanto utente fastweb, dalle cialde del caffè ai depuratori per il rubinetto, al contratto di luce e gas.

Il problema è che, mentre con una persona cis, essere chiamati con nome e cognome non rivela niente (tutti gli altri che usano quel numero usano anche quei dati), ovviamente per una persona transgender è diverso: questi stalker dei call center sono i primi che chiamano quel numero usando il nome anagrafico con nonchalance, e, anzi, convinti che l’uso ripetuto e maniacale di quel nome mi spinga a comprare.

Alla domanda “chi vi ha fornito il numero” in pochi hanno ammesso che è stato Fastweb stesso, fornendo anche tutti gli altri miei dati, ma quello che risulta pesante, per me, e chissà per quante altre persone sotto l’ombrello transgender, è che quel numero, a cui io devo rispondere sempre, perché un numero sconosciuto potrebbe essere un nuovo cliente, un giornalista interessato al blog, o un vecchio amico non in rubrica, e invece tutti questi numeri “virtuali”, fissi e di cellulari italiani, che riconducono alla chiamata voip di un call center, esordiscono col nome anagrafico.

Poi c’è stata la situazione imbarazzante di un operatore che, durante una pausa pranzo, ha ripetuto il nome anagrafico esattamente 27 volte, mentre mi dava del tu, senza neanche chiedermi il permesso, e non si arrendeva ai miei “no” alla sua proposta di vendita. Credeva, e magari aveva un team leader alle spalle che lo controllava, che quella frenetica ripetizione di quel nome mi avrebbe spinto a comprare le sue pentole a pressione, mentre era intento a immaginarmi moglie e madre.

Certo, sto partendo da un mio aneddoto personale, a cui mi sono sottratto per oltre un decennio perché mi so destreggiare bene nel non dare dati anagrafici se non strettamente necessario, e ho sempre visto altri, bombardati da poco raccomandabili operatori del trading online, ma ora, per fare quello che necessita di un riferimento anagrafico, un contratto telefonico, mi ritrovo bombardato da queste persone, addestrate a non mettere giù il telefono, e a ripetere il nome anagrafico come un mantra, a causa del corsi di Programmazione NeuroLinguistica (PNL) che hanno fatto proprio in quei call center.

Di certo, io, che per pagarmi parte degli studi in quel call center ci ho lavorato, con la team leader alle spalle che mi obbligava ad usare il mio nome anagrafico e anche quello del cliente, per “creare empatia”, vorrei aiutare questi ragazzi, a stare in linea anche solo qualche minuto in più, per raggiungere obiettivi telefonici, che faranno loro arrivare ad un misero pagamento a cottimo. Ma a che prezzo?

Non so se con le persone cisgender questa ripetizione frenetica del nome anagrafico funzioni, ma quello che so è che con chi è gender non conforming, o con chi, per ragioni sue, non ama il suo nome anagrafico, questa è una vera e propria tortura.

Il bombardamento di tesisti e questionari che sommerge le persone transgender

$
0
0

E’ da quando ho aperto questo blog, nel lontano 2009 (e ancor più dopo l’inizio della mia presidenza, nel 2010), che la mia casella di posta è sommersa di tesisti, desiderosi di “somministrare” a me, e a tutti i miei lettori, per via orale o anale, non si sa, dei questionari con domande oltre ogni livello di privacy, sulle nostre vite sessuali e non solo, senza mai riferimenti chiari alla “tesi” che la loro “tesi” di persone cisgender eterosessuali (o omosessuali) che volevano dimostrare “studiandoci” con tutte quelle domande pruriginose.

Ho sempre osservato, con sgomento, pagine, blog, e associazioni di amici che stimo, condividere con ardore tutti questi link a questionari, sollecitando lettori e lettrici a darsi una mossa a rispondere per “aiutare” queste persone così gentili e brave a “considerare” il nostro tema.

Quello che davvero non capisco è come si possa pensare che il nostro tempo non valga niente, e che l’unico “appagamento” possa essere quello che ci venga inviato qualcosa che in qualche modo ci nomina e ci “fa esistere”, anche se, a dirla tutta, spesso questi questionari escludono le persone non binary, le persone asessuali, demisessuali, pansessuali, transgender non medicalizzate, sono pieni di errori concettuali su sesso, genere, espressione, ruoli, identità, orientamenti, e spesso la persona transgender diventa un relatore di tesi aggiuntivo, ovviamente gratuitamente, e “per la gloria”.

Nessuno pensa mai, quando disturba un circolo, o un progetto blog, di proporre una donazione simbolica, per pagare queste realtà, che hanno una grande visibilità sul bacino d’utenza che interessa al tesista, e rimborsare il loro contributo. Nessuno rimborsa mai tutte le correzioni della struttura del questionario, che, senza di esse, avrebbe fatto parte di una tesi imprecisa e concettualmente errata.

Spesso veniamo “dimenticati” anche nelle bibliografie alla fine di queste tesi. A volte, addirittura, ci viene richiesto un colloquio telefonico o in videochiamata, che ci impegna magari più di un’ora, anche questo senza alcun riconoscimento, donazione, ringraziamento.

Impariamo a dire no ai tesisti, all’occhio morboso che ci spia, magari con la collaborazione di un vecchio barone universitario conservatore, che ci “studia” con approccio psichiatrico, per far sentire il tesista etero un po’ “open”, e il tesista cis gay “un po’ meno diverso” di coloro che studia.
Diciamo basta ai tesisti!


Come smascherare Gender Critical e Transfobia dal Linguaggio

$
0
0

Ultimamente ho avuto modo di scrivere in pagine facebook che condividevano notizie sui temi controversi riguardo all’identità transgender, i temi sa sempre grimaldelli e cavalli di troia di gender critical, terf, biologisti, destre, cattolici oltransisti, transmedicalisti (ovvero persone trans medicalizzate che non considerano transgender chi non ha fatto determinati trattamenti medici) e transfobici in generale.
Alla domanda se loro, o la loro pagina, seguissero l’ideologia “gender critical”, hanno glissato, proponendosi come autori originali e indipendenti.
E’ un fatto che alcuni temi siano ormai oggetto della loro propaganda, e sia difficilissimo parlarne in modo critico in altri contesti, ma vediamo come riconoscere a chilometri i gender critical

Temi trattati

C’è puzza di gender critical se i temi trattati sono:

  • ex mogli ed ex mariti delle persone transgender che si sono dichiarate da adulte (da loro chiamate, in modo transfobico, transwidow)
  • minori transgender e non binary
  • l’essere non binary, agender, genderfluid messo in discussione con confusione con i ruoli di genere
  • donne transgender mtf sportive agoniste
  • Rowling
  • donne transgender nelle carceri
  • autori di crimini che sono anche persone T
  • scetticismo sui diritti delle persone transgender non med
  • detransitioner e desister
  • persone che non hanno dichiarato di essere transgender prima di un dating

Modalità con cui ci si rivolge ad una persone transgender

  • Derisione in assenza di passing o scarso passing
  • Misgendering
  • Deadnaming (ad esempio non usare Elliot per l’attore Page ma il precedente nome)
  • Uso del termine “transattivista” al posto di “attivista trans”, da un’errata traduzione dei contenuti delle terf anglofone

Modo con cui viene descritta una donna transgender

  • uomo
  • maschio
  • maschio transidentificato
  • maschio che si identifica come transwoman
  • transwoman (perché una donna trans non può descriversi con “woman” senza attaccare “trans”)
  • transessuale
  • un transessuale
  • una transessuale (usando “transessuale” come sostantivo e non come aggettivo associato a “donna”)

Modo con cui viene descritta un uomo transgender

  • donna
  • femmina
  • femmina di genere non conforme
  • tomboy
  • butch
  • transman (non usano “trans” e  “uomo” staccate tra loro perché per loro un “transman” non è un “man”)
  • donna mascolina
  • donna che si identifica come transman

Ecco le parole chiave che incontrerete in siti come LGB Alliance, Il diavolo veste Terf e simili…

  • LGB alliance (un’alleanza per i diritti per “sesso” e non per “genere”, e che declina gli orientamenti sessuali in base ai sessi genetici e non alle identità di genere)
  • gender critical (persone che credono che l’identità di genere non esista e coincida col ruolo/stereotipo di genere)
  • Radfem (è importante ricordare che non tutto il femminismo radicale è Gender Critical e non tutti i gendercritical sono RadFem)
  • tomboy (concetto abusato, per insinuare che qualsiasi ftm o non binary di biologia xx sia in realtà una ragazza “maschiaccia”)
  • culto trans (definire le rivendicazioni transgender come un “culto” o un’ideologia
  • detransitioner o desister (parola che descrive coloro che, per varie ragioni, anche sociali e di salute, sono tornate a vivere come cisgender, o hanno scoperto di non essere transgender)
  • rachel mckinnon (sportiva agonista transgender, usata spesso come pretesto per misgenderare le donne transgender e dire che “sono uomini”)
  • transattivista (parola rivolta a chiunque difenda i diritti transgender, o sia queer, e possieda un account social, anche anonimo, senza nessuna verifica che sia davvero un attivista autorevole)
  • transfemminismo, femminismo liberale (il modo in cui viene chiamato, in modo dispregiativo, il femminismo intersezionale)
  • self-ID (il modo in cui viene chiamato il cambio documenti senza obbligo di cure ormonali, in modo dispregiativo)
  • legittimi gusti sessuali (il modo in cui viene detto che si è legittimati a non essere attratti dalle persone T, cosa su cui siamo anche d’accordo, se poi non offendessero in continuazione i e le nostre partner, delegittimando il loro orientamento)
  • non avere la disforia (hanno deciso che chi non prende ormoni, per i più svariati motivi, non “ha la disforia”, quindi è un “finto transgender”
  • costrutto (pur non avendo mai letto una pagina dei pensatori costruttivisti, usano “costrutto” relativamente all’identità di genere per delegittimare le persone transgender)

Questa guida sarà aggiornata costantemente, per dare strumenti concreti per non incappare in spazi transfobici

Adottare se sei non binary o transgender, una battaglia di cui la politica non vuole parlare

$
0
0

La genitorialità non biologica è un tema tabù, in Italia, al di fuori di una logica binaria.
L’argomento viene affrontato esclusivamente sotto due aspetti:
– la richiesta di snellimento delle pratiche per l’adozione, per quanto riguarda le coppie sposate, eterosessuali
– la richiesta di estensione del diritto di adozione alle coppie unite civilmente, omosessuali

Un tema meno trattato, ad esempio, è quello che riguarda l’adozione per le persone single, che mette in secondo piano sesso, genere, orientamento sessuale della persona, ma pone il delicato tema della genitorialità adottiva al di fuori della coppia.

In quest’ottica, che trascende dalla coppia e dal sesso anagrafico dei due componenti, andrebbe affrontato il tema dell’accesso alle adozioni da parte di persone non binarie e transgender.

La premessa è che chiunque sia in coppia (matrimonio) con una persona di sesso opposto, o anagraficamente di sesso opposto (anche una persona transgender che ha già cambiato i documenti), può adottare.

Le casistiche sono, quindi, quattro:

– persone non binary, in coppia con persona di “sesso biologico” opposto (o risultante come tale, se transgender che ha cambiato i documenti)
– persona transgender con documenti non rettificati in coppia con persona di “sesso biologico” opposto (o risultante come tale, se transgender che ha cambiato i documenti)
– persona transgender con documenti non rettificati, in percorso medicalizzato con persona di “sesso biologico” opposto (o risultante come tale, se transgender che ha cambiato i documenti)
– persona transgender con documenti non rettificati, in percorso non medicalizzato con persona di “sesso biologico” opposto (o risultante come tale, se transgender che ha cambiato i documenti)

Non med e non binary e adozione

Nel caso della persona non med, o non binary, l’unico tipo di accesso possibile richiede il totale velatismo, e sono quindi escluse tutte le persone che si fossero esposte come attivisti/e. La persona, se vuole adottare, deve abbracciare l’identità di genere attesa dal suo sesso biologico, oltre che il ruolo di genere, visto che le domande e le pretese per accedere all’adozione sono squisitamente binarie. La persona, quindi, dovrebbe non solo porsi come persona velata, ma essere totalmente anonima, avere un profilo basso sui social, avere un o una partner che asseconda questo velatismo, e rispondere mentendo a tutte le domande che vengono poste, che non riguardano tanto il “come” la persona si immagina genitore, ma a come si immagina “madre” (se di sesso femminile) o “padre” (se di sesso maschile), in una logica strettamente binaria.
Difficile, sarebbe, per una persona di biologia femminile, che sia non binary, o transgender non med, veicolare il concetto che, pur fertile, non gradisce vivere l’esperienza sociale e/o fisica della gravidanza, perché le persone di biologia xx, che, pur fertili, si rivolgono all’adozione, vengono recepite con un approccio patologizzante, in cui la persona di biologia femminile, fertile, ma che non desidera partorire, è vista come una persona con un “problema da superare”, e che deve lasciare spazio a chi, invece, non “può” avere figli naturali.

Persone transgender med, ma che non hanno cambiato i documenti

Seguono le persone transgender non rettificate anagraficamente, che dovranno rimandare la richiesta di adozione a dopo il cambio documento, sempre che il loro percorso sia compatibile ad un cambio documento (si pensi a chi sta facendo dei microdosing, tipo di transizione “pionieristica” e a cui i professionisti “della transizione” in Italia non sono abituati, e per cui ci sono ancora pochi precedenti. Una persona che si presentasse come aspirante all’adozione, pur con compagno o compagna di “sesso” opposto, ma senza i documenti rettificati, sarebbe subito scartata, e se poi cambiasse i documenti, il compagno o compagna di “sesso” opposto diventerebbe “improvvisamente” del suo stesso “sesso”, il matrimonio verrebbe trasformato in unione civile, e quindi sarebbero esclusi dall’adozione.
Se, invece, in coppia con persona risultante dello “stesso sesso biologico”, dovrebbe aspettare il cambio documento per diventare “magicamente” di sesso opposto, sposarsi in comune, e poi provare una bella adozione in chiave eteronormativa.

Documenti cambiati e in coppia “anagraficamente” etero

Passiamo a chi invece i documenti li ha già cambiati, e risulta, anche per legge, del “sesso” opposto a quello di nascita. Potrebbero essere due persone transgender, un uomo ftm ed una donna mtf, in coppia tra loro, entrambe con i documenti cambiati, sposati, o una donna transgender sposata ad un uomo cisgender, o uomo transgender sposato con una donna cisgender. In tutti questi i casi, l’adozione sarebbe possibile, ma i componenti della coppia, comunque, dovrebbero assecondare le domande binarie dei volontari, che, comunque, spesso sono cattolici credenti, o portatori di quel tipo di valori.

Una battaglia fuori dalle agende della politica

E’ palese che, salvo rari e precisi casi, l’adozione non è un diritto per chi ha un’identità di genere non assimiliabile a quella attesa rispetto al corpo di nascita, e in parte questo problema riguarda anche quelle persone non transgender che si presenterebbero in modo non binario, rispondendo alle domande in modo da non poter assecondare i canoni pretesi e previsti.

L’adozione per persone transgender e non binary, però, è anche fuori da qualsiasi agenda politica, anche di sinistra, e spesso anche fuori dai manifesti dei pride, o elaborati dalle associazioni. E’ un diritto non sentito, non affrontato, non indagato nel modo corretto. E’ un problema a cui non si pensa, perché si dà per scontato che la persona trans non desideri dei figli, o, se proprio li decida, che se li faccia da sola.

L’adozione per le coppie “same sex” unite civilmente non estenderà automaticamente il diritto alle persone T

Si pensa, forse, che l’estensione alle coppie dello stesso sesso estenderà i diritti anche a persone trans e non binary, ma quello che non si considera è che i canoni binari rimarranno, e, se diventerà facile dare un bambino a due padri calvi e con la barba, sarà molto difficile che sia visto come un buon genitore un ragazzo ftm senza passing, che si presenta come tale e non come lesbica butch “moglie” di una donna. L’unica cosa che cambierà, se si estenderà l’adozione anche alle coppie “same sex”, è che la persona non binary o transgender avrà gli stessi problemi sia se in coppia con un uomo, sia se in coppia con una donna, sia se sposata, sia se in un unione civile, ma l’esclusione rimarrà.

Servono riferimenti legali specifici, di inclusione per aspiranti genitori t e non binary

E’ importante, quindi, nel momento in cui si dovesse parlare di una legge che estenda i diritti di adozione, che le persone trangender e non binary non siano dimenticate, che si specifichi il loro diritto alla genitorialità adottiva, esattamente come le persone cisgender, a prescindere dal con chi siano in coppia.
Un altro passo, sarebbe estendere il diritto ai single, ma anche in questo caso si dovrebbe veicolare il concetto che l’essere un buon genitore non dipende dalla bravura ad aderire agli stereotipi binari di buon padre e buona madre, con rigorosa coerenza ai genitali del genitore.

E’ una battaglia pionieristica, in questo momento in cui le priorità sono “ben altre”, ma di cui qualcuno doveva iniziare a parlare, per rompere il pesante silenzio in materia.

Quando sei uomo e devi fare i conti con la transfobia, 16 maggio, Guado

Nathan relatore, 17 maggio, giornata internazionale contro l’omobitransfobia

$
0
0

Oggi con Jacopo, Serena e Nathan🌻🏳️‍🌈🌻

🟢 IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE
🔴 Diretta a cura di Gianfranco Mascia
💥 Questo pomeriggio, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, saranno in diretta con noi: Serena I. Volpi, Nathan Bonnì e Jacopo Giraldo.
🕒 Ore 16.30
💚Non mancate!
#IDAHOBIT2021

Clicca qui per l’evento

Qui per la diretta

#pronomisulinkedin una campagna per avere cittadinanza indentitaria nel mondo del lavoro

$
0
0

Ho scoperto, con piacere, che una ex collega, su Linkedin, ha messo i pronomi “she/her” accanto al suo nome.
Linkedin provvederà, forse presto, ad un campo specifico, ma nel frattempo molte persone, anche non sotto l’ombrello transgender, hanno deciso di inserire i propri pronomi.

Perché questo segnale è importante?

Perché dovrebbe essere importante che una persona che non è transgender o non binaria inserisca i pronomi con cui chiede ci rivolga a lui/lei?
Questa tendenza legittima l’idea che un’azienda non dovrebbe mai dare per scontato che il genere grammaticale col quale rivolgersi ad una persona sia quello coerente col suo nome anagrafico o col suo aspetto.
La richiesta dei pronomi corretti può aprire molte strade all’interno di una carriera aziendale, come quella del nome “Alias” usato da colleghi e clienti, o sulla mail, sul badge, sui buoni pasto, all’uso di bagni e spogliatoi.
I “pronomi” richiesti non contengono tutti questi concetti, ma danno il “la”.

 

L’iniziativa dovrebbe partire da chi se lo può permettere: le persone Ally

E’ difficile, per chi, essendo transgender e non binary, non può essere out sul lavoro, o ha fatto dei coming out che sono stati ignorati. Infatti, non sono queste le persone che voglio maggiormente spingere ad inserire la tematica dei pronomi all’interno dei profili Linkedin e di altre piattaforme legate al lavoro e alla carriera.
Sono quelle persone “cisgender”, alleate delle persone transgender e non binary, che possono creare un circolo virtuoso e far diventare la dichiarazione dei pronomi una prassi.

Quali Ally si stanno esponendo?

Per ora, ahimé, sembra un fenomeno limitato solo a professioniste donne, che hanno messo i pronomi she/her e talvolta anche they/them.Ancora, per gli uomini, sembra un problema esporsi anche solo con “he/him”.
Se però questa campagna diventasse virale, e stimolasse le persone “ally” ad aiutarci in questa battaglia di “cittadinanza sul posto di lavoro”, la viralità dell’operazione potrebbe spingere le aziende ad adeguarsi. Magari, il “genere con cui rivolgersi” diventerebbe parte di una candidatura, come fosse una richiesta “ordinaria”, e porrebbe fine a tutte quelle postille e imbarazzanti precisazioni che le persone transgender e non binary fanno, o a volte scelgono di non fare, in luogo di invio curriculum e di colloquio.

Cosa ci può essere di più potente che trasformare una prassi in qualcosa di ordinario?

Quindi, il mio appello va ai lettori ed alle lettrici Ally: aiutateci ad inserire il tema del “non misgendering” all’interno del macro-tema del lavoro (l’accesso al lavoro, il tentativo di cambiare lavoro per migliorarsi, il rientrare nel mondo del lavoro dopo aver preso consapevolezza, il rapportarsi a capi, clienti e colleghi).

Postate su instagram, twitter, facebook, (e magari anche linkedin stesso) uno screenshot del vostro linkedin in cui sono visibili i pronomi e aggiungete questo ashtag #pronomisulinkedin
Facciamolo diventare virale!

Quale doppiaggio rende maggiormente giustizia ad un personaggio transgender?

$
0
0

Un tentativo di riflessione equilibrata e non ideologica da parte di un attivista transgender che, un po’, ha potuto conoscere il mondo del doppiaggio

Sterili polemiche sull’eliminazione del doppiaggio

Premetto di essere un grande appassionato di doppiaggio fin dall’infanzia, passione trasmessa da mio padre, e che mi ha portato, quando ero uno young adult, a fare corsi di dizione e speakeraggio, per migliorarmi come attore e speaker radio.

In quegli anni stavo alla larga dalle polemiche di chi diceva che era “colpa” del doppiaggio se in Italia nessuno conosceva l’inglese, problema che le tv on demand hanno risolto, proponendo la doppia scelta per chi la vuole, e consentendo di ascoltare in italiano a chi lo desidera o a chi, essendo ipovedente, è molto aiutato dalla voce a capire i fatti.

Le scelte del doppiaggio italiano negli ultimi decenni

I personaggi transgender, in passato, venivano doppiati in modo macchiettistico. Stiamo parlando prevalentemente di persone transgender mtf, doppiate spesso da doppiatori uomini (spesso eterosessuali e padri di famiglia), che doppiavano queste donne senza fare il minimo sforzo, con un timbro virile, e con un tono di voce che ricordava una macchietta omosessuale maschile. E’ anche vero che, ai tempi, i personaggi transgender erano spesso l’ironica prostituta che assisteva ad un crimine e poco altro.
Poi ci sono doppiaggi come quello di Agrado di “Tutto su mia madre”, di Almodovar, in cui Veronica Pivetti, dal timbro non acuto, fa un ottimo lavoro e rende giustizia al personaggio.
Abbiamo poi il caso del film Tomboy, in cui il “bimbo” ftm è stato doppiato da un attore bambino.
In Transamerica la doppiatrice è donna, ma cerca di tenere un timbro profondo, così come fa l’attrice stessa, donna cisgender.
Infine, abbiamo Orange is the new black, il cui doppiaggio della detenuta transgender Sophia è affidata ad un uomo, con un timbro più profondo di quello dell’attrice.

Poi, i tempi sono cambiati, e abbiamo potuto sentire doppiatrici donne alle prese con Dreamer, super eroina transgender di Super Girl, e con le donne transgender di Pose.

Quale ricostruzione rende più giustizia ad attori e personaggi transgender?

Una critica, però, va fatta: le doppiatrici con timbri acuti e squillanti sicuramente sono un omaggio all’identità di genere di questi personaggi femminili transgender, ma sono fuorvianti. Spesso, distratti da queste voci acute, non riusciamo a seguire la trama dell’episodio, in cui il personaggio femminile transgender viene escluso o discriminato proprio per il suo “non passing”, che si evince soprattutto dalla voce (perché esteticamente spesso sono quasi indistinguibili da una donna biologicamente femmina).
In questo caso non è importante tanto la “fedeltà” al timbro ma che conseguenze ha, nelle vite e nelle narrazioni delle persone T, avere quel timbro di voce (o quell’aspetto).
Faccio un esempio personale, che riguarda la mia realtà di uomo ftm con una voce non particolarmente profonda o maschile. Se un giorno qualcuno facesse un film su di me, se l’attore o il doppiatore avesse un timbro di voce profondo, le scene in cui io vengo umiliato per il “non passing”, chiamato signora, sarebbero poco comprensibili.
Non so se la soluzione, però, è che una doppiatrice donna (per quanto preparata) mi interpretasse o doppiasse: Boy’s don’t cry è un film lontano nel tempo, anche se l’attrice meritava di essere premiata. I tempi, però, sono cambiati. Nel film Romeos è un uomo biologico molto androgino e dai lineamenti gentili ad interpretare un ragazzo ftm ad inizio terapia ormonale, ed è questa la strada migliore da percorrere, secondo me: che sia un uomo dalla voce non profonda (o un giovane ragazzo) a dare voce ad un personaggio ftm.
Nella serie TV Tales of the city è un ftm ad interpretare…un ftm, e questa è sicuramente la soluzione migliore, ma non sempre praticabile.

Non conta solo il timbro, ma anche l’immedesimazione dell’interprete/doppiatore/doppiatrice

E’ importante che, per veridicità e fedeltà all’interpretazione originale, il timbro sia molto simile, ma è anche importante che chi doppia possa immedesimarsi davvero nel personaggio, e, bravura a parte, è difficile per un doppiatore uomo e padre di famiglia interpretare un personaggio femminile, comprenderne le emozioni, risultare credibile. La soluzione potrebbe essere, quindi, impiegare attrici donne dai timbri profondi (un tempo, per ragioni razziste, venivano usate per doppiare donne di colore, e ora potremmo impiegarle nel doppiaggio dei personaggi mtf), e uomini dai timbri sottili, o ragazzi molto giovani (per i personaggi mtf). Inoltre, come succede già per gli e le speaker che leggono gli audiolibri, interpretando varie voci, si potrebbero inserire degli effetti di leggero scurimento e schiarimento della voce (senza creare effetti macchiettistici).
E’ anche vero che gli attori e le attrici ftm ed mtf sono pochi/e e se sarebbe bello che fossero loro ad interpretare/doppiare i personaggi transgender, è anche giusto che non rimangano imprigionati sempre e solo in questi ruoli.

Differenza tra attore/attrice transgender e personaggio transgender

Alla luce di questo, se è importante che sia “leggibile” la condizione transgender in un film/documentario che narra le disavventure di essere transgender, penso che quando invece l’attore/attrice trans interpreta una persona la cui condizione (trans/non trans) non è specificata, sarebbe meglio scegliere un doppiatore/doppiatrice del sesso/genere del personaggio, come nel caso del film “Una donna promettente”, che ha scatenato la recente bufera.

“Una donna promettente” e la richiesta di ridoppiaggio

Laverne Cox era già stata doppiata, come Sophia, da un uomo. Stavolta, però, in questo importante film pluripremiato, Laverne interpreta una donna di cui non si specifica la condizione transgender, quindi, se l’attrice è transgender, probabilmente il personaggio non lo è.
La direzione del doppiaggio ha scelto una voce maschile, quella di Roberto Pedicini, doppiatore da me amato fin dall’infanzia, per i doppiaggi di Kevin Spacey e soprattutto del mio attore preferito di allora, Jim Carrey.
E’ un errore insultare il doppiatore, così come è un errore insultare i doppiatori per gli adattamenti dei dialoghi “censuranti” dei manga. E’ sempre la direzione che sceglie, e credo che Pedicini sia “scattato” in modo poco felice per via della “bufera” che sta colpendo lui, e non tanto la distribuzione del film.
La produzione americana, giustamente, chiede un ridoppiaggio. Il Guardian accusa la direzione del doppiaggio di transfobia e bullismo, non rendendosi conto di quanto la sensibilità e la “diversity & inclusion” sia indietro in Italia, e si indigna anche Vittoria Schisano, attrice e doppiatrice.
Sarebbe facile concludere dicendo che i doppiatori e le doppiatrici transgender in Italia “non ci sono” o “sono pochi/e”, ma il mondo dello spettacolo è pieno di persone LGBT velate, che pensano di rischiare il posto di lavoro facendo coming out, e finalmente potrebbero essere impiegate in ruoli che nessuno, meglio di loro, potrebbe interpretare.

Il problema dei “Talent” nel doppiaggio di cartoni e 3D

Un altro rischio, che placherebbe gli animi della comunità LGBT, ma non garantirebbe un lavoro di qualità, è che venga scelta una personalità transgender dal mondo dello spettacolo, ma non professionista della recitazione e del doppiaggio. Tranquilli, non rischiamo di essere scelti noi attivisti, che “famosi” non siamo, se non nella nostra bolla.
La scelta di prendere personaggi famosi (vallette, calciatori, cantanti) come doppiatori è relativamente “antica”, e viene fatto non per dare riconoscimenti ad una comunità particolare (persone di colore, transgender), ma per ragioni di botteghino.
Il fenomeno dei “talent” (che di “talentuoso” non hanno nulla, si tratta di personaggi famosi, non doppiatori, impiegati nelle voci dei cartoni animati e, soprattutto, dei cartoni in 3D) ha mortificato il doppiaggio per decenni, rendendo scadenti delle produzioni importanti.
E’ una tradizione importata dagli USA , ma è diverso quando quando è un attore americano a fare il “talent”, visto che gli attori, in America, sono abituati a ri-doppiarsi: si pensi all’ottimo doppiaggio di un Tom Cruise in Aladdin.
Se questo sembra un problema banale per chi mette al primo posto le istanze transgender, nel mondo del doppiaggio, assolutamente, non lo è.

Potrebbe essere una soluzione, ad esempio, affidare il ri-doppiaggio ad una delle poche attrici e doppiatrici transgender dichiarate, scelta che abbatterebbe tutte le polemiche sul “timbro”, ma, se ciò non fosse possibile, una donna dal timbro relamente “scuro” sarebbe la migliore soluzione.

La triste trasmissione di cui è stato ospite Roberto Pedicini

Comunque, il Guardian, e la Universal Pictures hanno ragione quando dicono che per un’attrice transgender il doppiaggio da parte di un uomo è umiliante.
Pedicini, che stimo, insorge. Naturalmente vede buttato il suo lavoro, e teme che sotto ci sia la polemica contro il mondo del doppiaggio in generale, che vorrebbe anche in Italia i semplici sottotitoli. Pedicini attacca, perché si vede attaccato. Banalizza sulla tematica transgender, facendo riferimento al timbro ed alla fedeltà del timbro, come se fosse l’unica cosa importante. Dice che non abbiamo visto il suo lavoro e non possiamo giudicare, e su questo ha ragione (per curiosità, mi piacerebbe vedere uno stralcio), ma l’ho conosciuto ed apprezzato come uomo di sinistra, e spero che la sua “ignoranza” sul mondo trans (ignoranza in buona fede) sia solo una fase momentanea e dovuta al fatto che non ha conosciuto da vicino la realtà transgender. Non amo molto alcune espressioni che ho sentito in un’intervista, in cui parla della realtà trans con molto distacco e una vena di disprezzo (quando dice “”l’altra trans italiana”, parlando di Schisano).
Di quella trasmissione, però, il problema non è Pedicini. I conduttori (un uomo e una donna), anche loro speaker e quindi solidali al collega Pedicini, sono in malafede, e propongono alcune “esperienze transfobiche”, come un invito a chiudere gli occhi mentre parla Laverne per capire se ci immaginiamo un uomo o una donna, oltre a dire che il “doppiaggio politicamente corretto” farà lavorare “molto di più le donne che gli uomini” (lo dice, tra l’altro, la conduttrice donna).

Conclusioni


Pedicini è’ un uomo colto, e spero cambi idea. Capisco che “il timbro” sia rilevante, ma la recitazione non è solo “timbro”. E, comunque, per risolvere in un sol colpo il problema della fedeltà del timbro e dell’immedesimazione, basterebbe incoraggiare le speaker e le doppiatrici transgender, che già in Italia esistono, anche se nel mondo dello spettacolo c’è ancora molto “velatismo”, proprio perché un doppiatore/doppiatrice vede il suo coming out come transgender come la “fine” della sua carriera, proprio per il binarismo con cui attualmente questo lavoro è impostato.
Che questa “rivoluzione” possa anche spingere le persone, i grandi artisti, a vivere apertamente la loro identità?
A parte tutto questo, l’istanza principale è trovare soluzioni rispettose per quanto riguarda il doppiaggio dei personaggi t, perché
le storie transgender narrate saranno sempre di più, ed è importante raccontarle nel modo giusto.

Giovedì 14 Ottobre dalle 21:00 – LGBT For Dummies – con Uaar Milano

$
0
0

Il Circolo UAAR di Milano e il Progetto Genderqueer vi invitano ad una serata informativa e divulgativa C’è ancora bisogno di difendere l’Arcobaleno? Evento UAAR Giovedì 14 Ottobre dalle 21:00 Il Circolo UAAR di Milano e il Progetto Genderqueer vi invitano ad una serata informativa e divulgativa sulla necessità di eliminare pregiudizi e rispettare i […]

L'articolo Giovedì 14 Ottobre dalle 21:00 – LGBT For Dummies – con Uaar Milano proviene da Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary.


Mix Festival 2021 e i suoi splendidi corti, documentari, lungometraggi, ma anche concerti e cabaret

$
0
0

Come l’anno scorso, anche quest’anno invio il mio report dal Festival Mix, sperando che possa ispirare chi legge a rintracciare queste splendide pellicole e vederle Film, corti, concerti e stand up comedy in presenza Nella prima serata, il sabato sera, abbiamo Jump Darling, di Phil Connell (Canada – 2020 – 90’), che narra del rapporto […]

L'articolo Mix Festival 2021 e i suoi splendidi corti, documentari, lungometraggi, ma anche concerti e cabaret proviene da Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary.

Collettivo Progetto Genderqueer nella Rete Ministeriale InfoTrans!

$
0
0

Come avevamo detto nella newsletter del 22 ottobre… Una settimana importante. Abbiamo fatto un colloquio con InfoTrans, importante iniziativa con partner prestigiosi (UNAR, Unione Europea, PON, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) e finanziato nell’ambito del PON Inclusione con il contributo del Fondo Sociale Europeo 2014-2020. A breve compariremo anche noi sul portale (Progetto […]

L'articolo Collettivo Progetto Genderqueer nella Rete Ministeriale InfoTrans! proviene da Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary.

Giupino Suppo: essere non binary in Consiglio Comunale:

$
0
0

Ancora prima degli importanti risultati di Milano e Bologna, che hanno visto Monica Romano e Porpora Marcasciano trionfare, avevo deciso di intervistare Giupino, conosciuto nel Collettivo Progetto Genderqueer alcuni mesi fa. E ora…vediamo insieme come una persona non binaria si è vissut* la sua candidatura e vittoria. 1 – Ciao Giupo. Dicci di te: studi, […]

L'articolo Giupino Suppo: essere non binary in Consiglio Comunale: proviene da Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary.

North By Current: l’identità di genere sbarca al Cinemino col GenderBorder Festival

$
0
0

Il Gender Border: Cinema d’autore e antibinario Il Gender Border è un festival cinematografico che racconta gli orientamenti sessuali e le identità di genere con un taglio antibinario. E’ alla sua seconda edizione, e quest’anno è stato ospitato, dal 21 al 24 ottobre, dal Franco Parenti e dal Cinemino, roccaforti del Cinema d’Autore. North By […]

L'articolo North By Current: l’identità di genere sbarca al Cinemino col GenderBorder Festival proviene da Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary.

Il Milk Milano – Circolo Alessandro Rizzo Lari – chiude: un grazie a tuttə lə volontariə dal 2007 al 2021

$
0
0

Ieri l’Assemblea dei Soci ha deliberato lo scioglimento del Circolo Culturale tbigl+ Rizzo Lari ex Harvey Milk Milano Come sapete, in realtà io avevo proseguito il mio attivismo, dopo la fine della mia presidenza, nel 2018, con Progetto Genderqueer, che, da semplice blog, è diventato collettivo che organizza eventi culturali, autocoscienza, eventi didattici, lavori di […]

L'articolo Il Milk Milano – Circolo Alessandro Rizzo Lari – chiude: un grazie a tuttə lə volontariə dal 2007 al 2021 proviene da Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary.

Viewing all 397 articles
Browse latest View live