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L'”ombrello” Transgender e chi rimane sotto la pioggia

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Ho sempre impostato la mia presenza sul web come pubblica.
Su facebook ho vari livelli di filtro per quanto riguarda gli status. I seguaci del blog non accedono alle foto del mio ultimo gilet metallaro pieno di toppe o alla stilografica d’argento ricevuta per natale, ma accedono alle condivisioni su fatti di cronaca a temi lgbt, laicità, antibinarismo, etc etc.
Poi ho una serie di altri amici che ho incontrato in ambiti completamente diversi, con cui condivido altro ancora.
Credo fortemente che il mio profilo facebook sia qualcosa di fortemente privato, che io posso, in libertà, dedicare “particolarmente” una una causa che mi sta a cuore, ma rimane comunque privato.
Tuttavia ho sempre accettato le richieste d’amicizia chiedendo sempre cosa li o le spingeva ad aggiungermi,  e nel caso corrispondesse un silenzio tombale, rimuovevo dopo poco la richiesta.

Ultimamente deve esserci agitazione nel mondo virtuale T. Non lo so perché non seguo i gruppi facebook. Non sono presente all’interno di essi, e non so che aria tira.
Da quello che mi risulta vi sono ancora polemiche se accede una persona T non medicalizzata. Polemiche sul “vero” orientamento del suo o della sua partner, polemiche sulla sua “vera” o presunta disforia, e sul suo essere “veramente” o meno transgender.
Un tempo bastava un tag alla mia persona, messo in buona o cattiva fede, per farmi intervenire. Io avevo maggiori strumenti personali e politici per difendere il giovane non medicalizzato, che magari tra un anno farà la tos, ma ora ha bisogno di essere difeso.
Ora a tutto questo si è sostituita una grande apatia.

Questa settimana sono stato contattato ben due volte.
La prima era una trans che nella sua bacheca parla praticamente solo di sbiancamento anale (non so bene cosa sia e a cosa serva, ma non credo sia un requisito per laurearsi a Yale). Il contatto è nato dal fatto che lei e altri livorosi del web sono convinti che io usi un fake al femminile (se non erro “maria pastasciutta“) per frequentare i gruppi T (io sono stronzo si, ma ci ho messo sempre nome, cognome e faccia).
Da questo è nata un’assurda discussione sul fatto che secondo lei è scandaloso che persone come me e Platinette (quindi io nel calderone dei e delle Drag) ricadiamo sotto l’ombrello transgender, che “non si sente rappresentata” da me (io rappresento solo me stesso), che probabilmente il mio ragazzo si rivolge a me al maschile “perchè lo mantengo” (ha deciso che ho un ragazzo che mantengo, come fossi la povera prostituta trans che mantiene il pappone che la fa sentire accettata), che “girano strane voci su di me“, tipo che “al lavoro mi presento come donna” (accendi il cervello, idiota! che ho problemi a firmare col nome maschile i progetti come architetto ne parlo in almeno dieci interviste tra giornali, siti e blog), precisava che secondo lei ho un fake femminile “perchè mi sento e mi accetto anche come donna“, e che “a lei sembro solo una donna… e neanche tanto androgina“, ma soprattutto che “io non rientro assolutamente nella 164 neanche dopo le ultime sentenze“, che “i ragazzi con cui mi sdraio sono etero” (mi sdraio? e che sso’ Messalina?).

Voi vi chiederete perchè perdo tempo a rispondere a questa gente, che dista da me anni luce, se non nel senso che io sono culturalmente superiore almeno nel senso che i nostri punti di vista divergono e non di poco.
Non ho alcun vantaggio a fare fakes per accedere a gruppi per i quali ho perso interesse da anni, che parlano di argomenti a me lontani, e che esprimono punti di vista a me lontani, con un approccio dogmatico, ma se proprio dovessi fare un side account, non lo farei di certo con un nome femminile. La cosa mi genererebbe disforia.

Sicuramente mi ha turbato il suo associarmi al mondo delle persone drag, e di chi vive il genere in modo spensierato.
Mi ha turbato il suo non considerarmi “meritevole di disforia“, come se la disforia fosse un premio da ambire, per cui addirittura fingere uno stato di disagio.
Mi ha turbato l’invadenza con cui entra nelle mie relazioni eroticoaffettive, mettendo in dubbio ciò che un partner può provare per me, a tal punto da pensare che finga per un profitto economico.
Mi ha turbato il suo non sentirsi “rappresentata” da me, come se volesse sedere nel trono di chi ha voce in capitolo, come se io su quel trono ci fossi al posto suo.
Mi ha turbato che avesse usato le interviste dove denuncio i problemi di un professionista che fa un lavoro dove firma a dover firmare per forza con un nome anagrafico per non commettere “falso” (i nostri nomi d’elezione lo sono, per la legge).
Mi ha turbato che avesse bisogno di precisare che il mio aspetto non solo è femminile, ma neanche “androgino”, come se per lei il rispetto dell’identità di genere di una persona dipendesse dal suo “passing” e quindi accettabilità sociale.
Mi ha turbato che sentisse l’esigenza di prendere le distanze da me precisando che “neanche adesso” io rientro nella 164 (in cui , non essendo transessuale, non sono mai rientrato).
Mi ha turbato la sua idea della sessualità, che la porta ad usare termini come “sdraiarsi” o “andare”, termini più adatti ad un bordello che a una storia d’amore.
Ma la cosa che mi stupisce è il punto in cui mi diceva di non capire “perchè quelli come me ci tengono tanto a definirsi transgender, offendendo chi come lei ha faticato”.

Credo che sia proprio questo che questa gente, ignorante in modo tracotante, non capisce.
Una persona che ha un’identità di genere “non conforme” (secondo parametri stereotipati) al sesso di nascita, può avere una disforia, o non averla, ma non è affatto detto che chi ce l’ha scelga per forza il percorso della Tos.
Ultimamente ho avuto voglia di chiudere la pagina facebook. Le proposte da essa arrivate sono state davvero deludenti. Prima una giornalista che mi intervista, mi fa perdere una marea di tempo, ma poi non sa garantirmi la privacy del mio nome anagrafico. Poi abbiamo attivisti atei e laici eterosessuali che dicono che noi “dovremmo dire solo grazie a loro perché nonostante etero si impegnano a difenderci” (ma a difendere chi?).

E infine si arriva al secondo contatto, pervenuto tramite la pagina fb del blog, che, nonostante più educato e discreto, ribadisce lo stesso concetto espresso dalla “sbiancata anale”: pensare che chi non faccia la tos sia per forza una persona che non ha disforia o che addirittura finge di averla.

buona sera,posso permettermi di dire una cosa? io ho pieno rispetto di tutti gender ma non confondiamo una cosa importante………nessuno a parte uno specialista può determinare il disturbo d’identità di genere,una persona che sceglie di non medicalizzarsi,non ha questa patologia………..glielo dico perchè io ne soffro e gli garantisco che chiunque vuole fare il percorso e lo fa perchè non ha il corpo che dovrebbe avere.

La cosa su cui mi soffermerei è il punto in cui molte di queste persone transessuali che mi contattano dicono di non capire perchè noi “non medicalizzati” vogliamo per forza definirci transgender.
E’ proprio questo il punto: non ci interessa affatto definirci tali.
Una persona di identità di genere maschile avrà come istanza questa: essere trattato al maschile. Dalla grammatica alla socializzazione. 
Onestamente nel mondo eterosessuale è tutto più semplice: la persona non GLBT sceglie di accettare quest’istanza o meno. Ma se accetta non entrano in gioco ferite aperte, rivendicazioni, e fattori politici. Da quel momento sei uomo e basta.
Loro invece pensano che ci vogliamo “fregiare”del termine trans, come se questo termine (almeno quanto il suffisso -gender), portasse un qualsivoglia vantaggio, e invece non portasse una serie di svantaggi e fraintendimenti.
La vicinanza etimologica e affettiva col mondo trans non mi ha portato gioia, fratellanza, sorellanza, ma solo problemi.
Nonostante le moderne definizioni mettono i non medicalizzati sotto l’ombrello transgender, se questa cosa deve offendere e generare rabbia in buona parte delle persone transessuali, offenderle, offendere i loro percorsi, per me non è un problema farne a meno.
Nonostante questo io continuerò a definirmi uomo, a desiderare di essere socializzato come tale, e questo, signori, non possono togliermelo.

Concludo con una riflessione: siamo davvero così diversi dalle sentinelle in piedi?

Che differenza c’è tra:
un transgender che prende ormoni e considera offensivo nei suoi confronti uno che non li prende e vuole che gli si rivolga al maschile
e
un etero sposato con una donna che considera offensivo nei suoi confronti un gay che vuole sposare il suo compagno.

i diritti che hai già, se estesi ad altri, non ti tolgono nulla: fattene una ragione


Archiviato in:DISCRIMINAZIONI INTERNE ALLA COMUNITA' LGBT, transgender non medicalizzati Tagged: ferite aperte trans, nuovi termini per dire trans, transfobia

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