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Portali/App di “acchiappo”: binari, bi-escludenti, e transescludenti? Ecco i migliori

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Gentilissimi lettori, ho appena finito un lungo test sui portali di acchiappo.

Inizierò con l’elencarvi ciò che volevo dimostrare
– nei portali in cui sono l’uomo paga, la donna diventa automaticamente una merce che deve “sdebitarsi” coi paganti, e in fretta (prima che scada il loro abbonamento)
– non sono i portali a radunare i soggetti peggiori, ma sono le persone che al limite sono se stessi solo sui portali
– quando la persona agganciata dice di no, partono gli insulti

Materiale usato per il dossier:
essendo una persona di aspetto androgino, ho potuto usare per il mio sondaggio delle mie foto reali, che, a seconda del tipo di acconciatura, ho usato per vari profili (donna maschile etero, donna femminile etero, donna maschile lesbica, donna femminile lesbica, uomo etero, uomo gay, uomo ftm se permesso dal portale/app).
Ho quindi fatto vari profili e li ho impostati tutti come bisex , in modo che potessi raccogliere i feedback sia dagli uomini che dalle donne.
Alcuni portali non contemplavano l’opzione bisex (solo meetic), e quindi ho dovuto fare più profili, e alcuni non lo contemplavano (curioso che nei portali gay ci si possa iscrivere come bisex ma nei portali per donne no!)

CONSIGLIO: per guardare gli slideshow, usate il tasto “pausa” 

P.s. a volte mi hanno scambiato per F con la foto “maschile” (comprensibile), e per M con la foto “femminile” (eppure mi ero impegnatooo😀 )

Clicca per vedere lo slideshow.

Ecco alcuni uomini che si chiedono “cosa sono” (mi hanno cercato col “mio” profilo F)

Clicca per vedere lo slideshow.

E alcuni che mi identificano come donna maschile, ma quindi devo essere per forza lesbica o bisex…

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Anche “son” si chiede cosa sono…ma ha un interesse personale (lo scoprirete nell’ultimo screen)

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app

Elenchiamo quindi i feedback significativi:

 

MEETIC:
esperienza donna maschile: la donna maschile è poco cliccata, e chi la clicca spesso lo fa o per interesse per il genere, o per interessi comuni, oppure usa l’ “approccio sfottente” (vedi primo screenshot allegato). E’ quindi il maschietto beta presunto alfa che provoca con l’obiettivo che scatti, nella compagnuccia di classe a cui tira le trecce, un meccanismo di ammirazione per la sua forza ed esuberanza. Capita anche che clicchino gli andocojocojo, che cliccano tutti i profili F, e anche gli slave, che pensano che la donna “maschia” sia portata a dominare
esperienza donna femminile: l’approccio vede dei banali copiaincolla poetici atti ad attirare l’attenzione. Senza neanche scambiare due parole, si passa al “dammi WA“, per avere in un solo colpo il numero di telefono. La fretta è dovuta al fatto che c’è sempre un  abbonamento che sta per scadere e vanno traghettate più donne possibili in altri canali gratuiti (WA preferito a Facebook, dove l’amicizia verrebbe interecettata dalla fidanzata ahaha).
esperienza uomo etero: si viene contattatati principalmente da rumene e russe iscritte come se si trovassero a Milano o a Roma, ma che in realtà sono ancora nel loro Paese d’origine, e cercano il pollo per sistemarsi.
Pareri sul portale/applicazione: è impostato male. L’uomo etero paga una cifra, donne e uomini omo pagano la metà, la donna etero entra gratis. Tutto questo scatena dei meccanismi secondo i quali l’acchiappo viene pagato alla romana dalle coppie omo di uomini e di donne, mentre nella coppia etero è sul groppone dell’uomo, che si mette nell’ottica del trattare la donna come una merce da consumare nel più breve tempo possibile, ed è aggressivo se ciò non avviene.  L’applicazione inoltre è non solo transescludente, ma anche bisex-escludente. Una persona bisessuale dovrebbe registrarsi con due account, pagandone, paradossalmente, uno più dell’altro.
Altro problema: oltre alla modalità shuffle (ovvero contattarsi solo se entrambe le parti mettono like all’altro) vi sono anche altre modalità in cui anche uno che non piace può contattare, e ciò appesantisce i profili F etero, sovraccaricate dagli stalkers.

Meetic allegato 1: quello con l’approccio sfottente

meetic
Meetic allegato 2: slideshow “ah, non mi dài il numero?”

Clicca per vedere lo slideshow.

Meetic allegato 3: “uuuuh, per essere una donna….”
meetic

Meetic allegato 4: rifiutato si incacchia
respinto meetic

meetic allegato 4: cattolico new age vuole correggermi

meetic

OKCUPID
E’ il miglior portale in assoluto. Permette non solo di registrarti come bisex (accedendo a potenziali partners M ed F), ma anche di mettere delle tag personalizzate relative al tuo orientamento e alla tua identità. Non esclude neanche poliamorosi, sapiosessuali, asessuali, demisessuali.
L’unica grandissima pecca è che è usato pochissimo in Italia, che non ha l’interfaccia in italiano, e che non ha il filtro per nazione ma per chilometri. Ha anche una discreta applicazione e un buon test di matching.
OkCupid allegato 1: esempi di iscritti/e non binari.

okcupid2 okcupid1

Ok Cupid allegato 2: purtroppo anche qua capitano le coppie scambiste tranny chaser

Clicca per vedere lo slideshow.

 

TINDER
Tinder è una famosa app di aggancio internazionale. In Italia è usata poco, soprattutto nell’Italia del nord, è gratuito per tutti e non puo’ essere consultata da pc. Pochi in Italia la usano per aggancio, spesso viene più usata per amicizia o per cercare persone con cui uscire in comitiva. Ha solo la modalità shuffle (scorrono le immagini e si mette like a chi si gradisce, e solo se l’altro/a ricambia può partire la chattata), e questo porta alcuni a mettere like a tutti/e coloro che appartengono al genere desiderato.
Si può desiderare di visionare, nello shuffle, sia uomini che donne.
Ogni registrazione a Tinder è legata a un account facebook, ma vi è un buon grado di personalizzazione dei dati (il genere, le foto).
Vi è una penalizzazione degli e delle omosessuali dovuta al fatto che chi, omosessuale, imposta di vedere persone dello stesso sesso, vede comunque anche le persone etero (senza sapere chi, delle immagini che scorrono nello shuffle, sia omo o etero), quindi spreca tempo a dare like a persone che hanno il filtro “stesso sesso” spento, ed essendoci i like limitati (ogni 24 ore), si perde molto tempo.
Capita anche che una lesbica metta like a delle donne che ricambiano il like, ma solo perché sono donne etero che, per amicizia, aprono il filtro ad entrambi i generi.
Sicuramente però, nella modalità lesbica, è molto utile ad agganciare donne bisessuali curiose che mai si iscriverebbero ad app esplicitamente lesbiche.
Altro vantaggio: la modalità shuffle aiuta uomini gay e donne lesbiche a non perdere tempo e provare imbarazzo a contattare persone dello stesso sesso, omosessuali, ma non interessate. Cio’ succede e spesso nelle app luixlui o leixlei, in cui spesso, vuoi anche per l’omofobia interiorizzata, si è molto ostili e maleducati con persone che contattano ma non sono gradite.
Ti mostra gli amici comuni su fb con eventuali utenti che appaiono nello shuffle, e anche gli interessi comuni (ricavati dalle pagine a cui hai messo il like su fb).
esperienza donna etero femminile: ho provato l’app sia al nord che al sud. ho riscontrato da parte dell’uomo etero lo stesso grado di machismo. C’è colui che legge “solo amicizia” nella descrizione , e contatta solo per il gusto di “rimproverarti” perchè non stai usando il portale per il fine desiderato da lui (sesso). C’è chi invece ha avuto l’intelligenza di mettere una foto che dichiara i suoi interessi (il metallaro, il musicista, il teatrante, il buddhista) e quindi viene ” likeato” da persona con interessi simili, e il dialogo si spinge molto verso gli interessi comuni.
Al sud non è molto conosciuta o usata, quindi ho avuto modo di parlare con meridionali che erano lì in vacanza ma studiano o lavorano al nord da anni, e per questo conoscevano l’app.
Alcuni la usano per amicizie, in quanto si sono trasferiti da poco o vogliono trovare comitiva in luoghi di villeggiatura.
esperienza donna lesbica femminile: questa modalità è molto “likeata” dalle lesbiche evidenti e dichiarate. Ho notato che il machismo con cui si approcciano non è inferiore a quello dei maschi etero. Pretesa di foto, da davanti, da dietro, etc etc. A questo si aggiunge il terrore che tu sia un uomo etero nerd e pippaiolo che si finge lella giusto per trollaggio o fetish, e quindi la richiesta insistente di una traccia audio o di un contatto telefonico.
Poi vi sono le femminili, le “curiose“, che sono li per trasgressione sessuale o per sperimentarsi come lelle. Si perde molto tempo a far loro ammettere che hanno messo il filtro donna non per amicizia ma per bisessualità, e, sarà che io sono li per l’articolo e non in quanto donna e lesbica, io questo tempo e pazienza non ce l’ho.
Esperienza uomo etero, donna maschile etero, donna maschile lesbica: riscontrato poco interesse per queste categorie. I pochi like erano di uomini e donne orientali. Approfondirò questa mancanza di appiglio per l’androgino nelle prossime recensioni.

Tinder allegato 1: carrellata di tinderisti. Aggressività per l’iscritta per sola amicizia, insulti se la donna è sopra i 30 anni, qualche perplesso per le foto androgine, qualche slave arrapato…

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Tinder Allegato 2:  ecco due etero terrorizzati dalla possibilità che io possa essere “un trans” (una donna mtf o un uomo gay che si finge donna…sapessero che sono ftm ahaha)

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Tinder allegato 3: ecco un uomo che prova a valorizzare una donna che scrive nel profilo di essere batterista…ma lei gliele canta di santa ragione (lui in verde lago, lei in grigino).

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Tinder allegato 4: un altro tinderiano che chiede foto dettagliate…ma non si aspetta che anche la donna puo’ avere un approccio così fisico, ehehe

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Tinder allegato 5: non sei qui per sesso? e allora vattene!

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Tinder allegato 6: che bello, fumi la pipa? io i cannoni….

tinderrr

Tinder allegato 7: per finire (ultimo allegato da tinder “lui che si propone a lei”) con approccio sfottente

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Tinder allegato 8: Marco o Carlo?

tinder carlo
Tinder allegato 10: bisessuale narcisista che odia le etichette….prende male il mio coming out…

coglione - Copia

Tinder allegato 11: gay sincero

tinder gay

HAPPN
Happn è un’applicazione che, romanticamente, ti permette di conoscere le persone che “sfiori” nella vita reale, in treno, in metro, etc etc.
Puoi mostrarti “charmed” e, se loro accettano, iniziare a conversare con loro. Gli charm gratuiti sono però limitati. L’app è, in compenso, gratis per tutti, e puoi impostare l’iscrizione per vedere sia uomini che donne (ignorandone però l’orientamento sessuale). E’ connessa al tuo fb, ti mostra eventuali interessi comuni.
E’ molto meno usata di Tinder, ma anche meno spinta al sesso. Ho ricevuto pochi like, e sicuramente quei pochi nel profilo “femminile” e non in quelli androgini (uomo, donna maschile). Consiglierei quest’app a una donna etero che non vuole le pressioni e il bombardamento di contatti che invece avviene su Tinder o Meetic. La sconsiglio in generale alle persone LGBT
Happn allegato uno: si vergognano di dire che sono lì per sesso, e si incacchiano se tu sei lì per altro…

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Happn allegato due: trasferiamoci su facebook…mi attraggono le mascoline..
etero affascinati da mascoline

 

PLANETROMEO
Planet Romeo, al secolo Gay Romeo, è uno storico portale per uomini gay, bisessuali e T.
Ho conosciuto molti fidanzati gay e bisex quando “ero giovane“, tramite questo portale.
Permette di iscriverti come B, T, G o “non mi espongo“.
Ho provato il portale sia iscrivendomi come ragazzo bio con foto, sia ragazzo bio senza foto, sia ragazzo T con foto, sia ragazzo T senza foto (nella descrizione però spiegavo sempre).
L’interesse è alto, ormai sempre più persone sanno cosa è un ftm. Non viene mai chiesto se prendi o no ormoni. L’unica cosa che interessa (scimmiottando un po’ dinamiche mtf), è se sei o no operato, ma non nella speranza che tu lo sia: a volte anche nella speranza che tu non lo sia.
Se alcuni contatti avvengono lentamente, altri chiedono il primo incontro già a casa loro.
Mediamente però un ftm vuole un primo incontro di filtro, magari per capire se l’altro è attratto anche dal suo corpo dal vivo (a volte diverso dalle foto), o per chiarire la sua lontananza dall’immaginario trans come concepito nel mondo del sesso, o anche, banalmente, per essere sicuri che l’altro piaccia esteticamente.
Non dovete pensare che questo renda l’ftm “femminile” o comunque soggetto ad un imprinting prudente di chi è cresciuto come F. E’ una questione pratica: l’ftm di aspetto androgino (la persona T in generale) preferisce non vivere il rifiuto da parte di un uomo attratto dal suo genere (ma non dal suo sesso) e poi non vorrebbe esporsi a un pericolo (la forza fisica è quella che è, e poi vi è l’opinione diffusa del trans che nel sesso è carne da macello o oggetto di piacere).
Moltissimi ad avermi contattato tra ragazzi ftm gay o ragazze mtf che ancora vivono come ragazzo gay, sia per solidarietà che anche per provarci.
Frequenti anche uomini gay curiosi di provare l’ftm, non solo attivi.
Alcuni di loro si sono posti in modo morboso nelle loro domande e curiosità, ma non per malafede. Si è realmente sorpresi nell’appurare che l’ftm è fiero di sé e non si sente una brutta copia dell’uomo bio, non supplica chi lo clicca, nè lo ringrazia devoto per averlo preso in considerazione.
Rimane la paura (che non è solo relativa ai T) di contattare un attivista, la paura di essere aggiunti su facebook, la richiesta di discrezione (problemi già presenti in generale nei contatti luixlui e leixlei).In generale si respira, nelle descrizioni, un disprezzo per gli “effeminati” e un vanto per “L’insospettabilità”, quindi la virilità apparente.
Conclusioni: planet romeo è più che altro un portale, anche se ha un’app, ancora da perfezionare. Lo consiglierei ad un ftm perchè è maggiormente lento rispetto alle app, e non basato solo sull’estetica. Una persona ha il tempo di spiegare, mettendo il filtro T, cosa è, e di ftm ce ne sono già tanti, e mediamente l’utente sa cosa è.
Ai progettisti consiglierei di dividere mft ed ftm per maggiore fruizione: in molti mi hanno chiesto se indosso mutande di pizzo, pensando che fossi una trav o una trans😀
Un grande vantaggio è poter vedere i visitatori, e poter mandare impronte di gradimento, per un gioco di “sguardi” virtuali.
Allegato planet romeo: alcuni gay curiosi

romeo1 romeo2 romeo3

Allegato 2: gli ftm piacciono…

Clicca per vedere lo slideshow.

GRINDR:
E’ la più nota e famosa applicazione luixlui.
Ha il filtro “trans” (sempre non differenziato in ftm ed mtf) e una serie di altri filtri legati al ruolo sessuale. Ha il vantaggio di essere molto popolata. Ho trovato beneficio iscrivendomi con “ftm” direttamente nel nome. Molte domande, curiosità e interesse.
Vi è ovviamente una maggiore fretta nell’incontro, quindi incontri in giornata, con relativi bidoni molto frequenti.
Aprendo l’app dalla provincia meridionale, ho riscontrato che le persone LGBT mettevano la faccia e il nome come al nord. Ci tengo a dirlo perché da anni sento dire il contrario.
Allegati Grindr: curiosi e persone che non hanno capito quanto fiero di sé mediamente è un ftm.

grindr grindr2 grindr3 grindr4 grindr5 grinde2 grindr1

 


SCRUFF:

Scruff è poco usato in Italia, pensato per l’uomo in tutte le sue sfaccettature, anche gender not conforming (trans, queer, drag), e anche il tuo interesse puo’ essere per una di queste categorie o piu di una. Puoi nascondere le visite ai profili, o dichiararle con un “woof“, che poi potrebbe essere ricambiato. Ottimo portale, che permette di visualizzare anche persone molto lontane, magari all’estero, queer, o drag, o magari ftm.
Allegato scruff: uno dei tanti utenti, che ha fatto del suo inestetismo il suo punto forte😀
scruff

WAPO:
Ex “bender”, quest’app è meno usata di grindr, ma ho riscontrato un discreto interesse per gli ftm. Ha meno filtri di scruff, solo per età e per ruolo. Nasconde le visite, a meno che tu non voglia lasciare un’impronta di gradimento, che pero’ puo’ vedere solo chi ha il profilo premium. Anche qui, volti e nomi quando ci si connette dalla provincia meridionale.
Allegato Wapo: alcuni ftm curiosi, ma ocio: l’ftm è li x scopare, mica per fare attivismo…

wapo1 wapo2 wapo wapo2


WAPA:
Ex “brenda”, è la relativa app femminile di wapo.
Non ha filtri, se non per età, a prova che le donne vengono visti come esseri romantici e asessuati che non possono desiderare di vedere solo le maschili, le femminili, o chi ha un ruolo predominante a letto.
Ho riscontrato che il meccanismo di contatto è totalmente etero-mimetico: nel mio profilo “donna femminile” ricevevo molto consenso da donne butch molto esuberanti, mentre quando avevo io il profilo donna maschile, non si batteva chiodo e dovevo io, “in modo molto stereotipato” corteggiare infinitamente” delle fighe di legno.
In pochi giorni mi sono capitate alcune stalkers, e, in modo opposto alle app lui x lui (dove è già tanto se non si sale in casa dopo 5 minuti dal contatto online), c’era gente che chiariva di “essere veg per un’eventuale convivenza futura” ahah.
Nomi e volti anche connettendosi in provincia e dal sud.
Conclusioni: app ottima per una lella o una curiosa. Dovrebbero migliorare i filtri.

GLEEDEN:
E’ un portale, con app annessa, molto particolare. E’ pensato per la donna “Milf“, sposata, che vuole trasgredire con qualcuno che lei sceglie. Ci si può registrare come M, F, omo, etero e bisex. E’ molto frequentata da uomini slave, e anche da uomini “trav“, quindi immagino anche da mistress.
E’ un portale che ho trovato interessante, sia per l’impostazione (poi non sempre rispettata dall’utenza), sia dal fatto che ho trovato un maggior numero di uomini non binari, sia in quanto praticanti di bdsm, sia bisessuali, sia di identità di genere non conforme. Successo sia come donna maschile che come donna femminile.

WHIRPL
E’ un’app “non binaria” e per appassionti del bdsm che nasceva con le migliori intenzioni. Puoi iscriverti come uomo, donna e una serie di tag di generi non binari, e anche il tuo gradimento puo’ essere legato a solo alcune di queste tag. Per un ftm è quindi facile selezionare chi ha flaggato la sua identità di genere. Nel mio caso ho scartato tutti coloro che avevano inserito “mi piacciono: ftm + donna” e ho invece dato la precedenza a chi aveva inserito “ftm + uomo bio“, ma un altro ftm potrebbe sentirsi più a suo agio con un eteroflessibile piuttosto che con un omoflessibile.
Purtroppo recentemente è stata tolta da Google Play e si accede su invito.

whilpr1 whirpl
BADOO
Concludiamo con Badoo, che non ha bisogno di presentazioni (sia portale che app).
Ti puoi iscrivere anche come Bisex ed è gratis sia per uomini che per donne. Molto popolato da trav. Purtroppo è invadente e segnala la tua iscrizione ai tuoi amici Fb e a volte manda inviti automatici via mail ed altri mezzi ai tuoi conoscenti. Ho sgamato un mio collega con nome farlocco.
Le trav però non sono molto aperte verso gl ftm…

Allegato uno: trav cerca “uomo vero”

badoo trav

Questo articolo non ha bisogno di particolari conclusioni, perché una conclusione univoca non c’è: ci sono app più adatte ad un target, altre meno, ma quello che è sicuro è che nessuna è ancora adatta alle persone pansessuali e/o gender not conforming, e, nel caso lo sia, non ha avuto modo di diffondersi in Italia.
Spero di poter aggiornare presto l’articolo con nuove informazioni.

 


Archiviato in:BINARISMO MACHISMO RUOLI E STEREOTIPI DI GENERE

Perché “uomo xx”? (e donna xy)

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Nelle ultime settimane ho riflettuto sul termine uomo xx.
Alcune persone queer si infastidiscono per la scelta di usarlo per indicare me stesso e la non conformità di genere di origine genetica xx e di espressione maschile.
Premetto che non mi accodo a tutta la letteratura e saggistica di decostruzione del sesso biologico. E’ vero che esiste l’intersessualità, che molte persone, più di quanto si pensi, siano intersessuali e che si debba trovare un modo di esprimere sesso, genere e orientamento tenendo conto dell’intersessualità.
E’ anche molto frequente che delle persone trans agli inizi, con una buona dose di transfobia interiorizzata, amino fantasticare sul fatto che la loro identità di genere dipenda da una presunta e immaginaria intersessualità, che li “discolpa”.
Sarebbe più politicamente corretto, come si fa all’estero, usare “assegnato maschio” o “assegnato femmina” alla nascita. E’ una terminologia che diventa molto importante se stiamo parlando di persone intersessuali, per cui sarebbe incompleto e riduttivo parlare del loro sesso in modo binario (quindi ci si rifà a come esso è stato interpretato, probabilmente erroneamente).
Ma amo pensare che mi abbiano assegnato “female” perchè sono female e non perchè si siano sbagliati o siano stronzi. Il problema non è che io sia female, e che lo sia davvero (a prescindere poi dall’essere o non essere strutturalmente androgini), ma il fatto che nell’attuale società male/female contino più di man/woman, quando dovrebbero contare solo dal punto di vista sanitario, e non sociale/relazionale/lavorativo, ma qui entriamo nella sfera del binarismo sociale e fomentato dalla politica che quotidianamente noi attivisti combattiamo.
Onestamente non so perché a me il termine “uomo xx” stia simpatico.
Uomo e donna descrivono le identità di genere, e a descrivere i corpi di solito sono i termini maschio e femmina. Il mondo esterno a quello delle nostre riflessioni però non usa questi termini in modo corretto. Spesso maschio e femmina sostituiscono uomo e donna quando l’opinionista medio vuole parlare di queste persone ostentandone le caratteristiche e gli istinti (“quella è proprio femmina”, “da come agisce si vede proprio che è maschio“, “è l’istino della femmina“…),  e questi sono senz’altro utilizzi che ostacolano io mio potermi dire serenamente “femmina” (dato reale dal punto di vista biologico).
Di contro, anche se con la transizione “medicalizzata” non si “cambia sesso“, si è sicuramente una modifica estetica e funzionale molto importante dal punto di vista del “sesso biologico”, e maschio e femmina, che continuano ad essere corretti in linea teorica, diventano difficili da usare se parliamo di una persona medicalizzata (tramite ormoni e/o interventi).
XX ed XY invece non cambiano mai, fanno parte del nostro corredo genetico e nel parlare comune non sono ancora stati (sovra)caricati di significati comportamentali stereotipati.
XX è semplicemente la persona nata F che presumibilmente (al netto di tos, interventi) puo’ generare con una persona XY (che poi l’xx sia rasato a zero e l’xy abbia una mega parrucca bionda e un tacco dodici…diventa tutto molto relativo).
L’uomo xx è diverso dall’uomo xy? Si. Dirlo è transfobico? No.
L’uomo xx vive parte della sua vita in una condizione fisica/sociale diversa dall’uomo nato xy. Questa cosa influenza moltissimo la personalità dell’uomo xx, anche nel caso prendesse subito coscienza della sua identità di genere e/o del fatto di essere uomo trans (e credetemi, quelli della mia generazione potevano anche aver inquadrato chi erano, ma non si parlava tanto di ftm all’epoca, o di possibilità che un nato xx potesse essere “Trans”, o addirittura ftm gay). A prescindere da come e quando io abbia preso consapevolezza, e abbia pubblicamente dichiarato chi sono, tutto questo è stato preceduto da un’educazione e un modo di relazionarsi a me da parte degli altri che presupponeva che io fossi F e “una futura donna. Per quanto io (o altri) possa venire da una famiglia non binaria (avevo l’album di figurine dei calciatori, il motorino, suonavo basso e batteria, dicevo parolacce e bestemmiavo…), io ero socializzato come F e in modo diverso da come venisse socializzato mio fratello maschio biologico. Tutto questo è dipeso dal peso che la società (famiglia, scuola, e persino i catechisti) dà al fatto che una persona sia nata xx o xy. Se non ci fosse binarismo sociale probabilmente un uomo xx non avrebbe così tanto bisogno di rivendicare il suo imprinting come parte di se stesso che ha infine accettato e incluso.
Se non ci fosse binarismo sociale, l’uomo xx semplicemente prenderebbe consapevolezza di essere uomo e (medicalizzato o non), vivrebbe semplicemente da uomo, notando in se stesso dinamiche molto simili a quelle degli uomini geneticamente xy. Ma essendo che il binarismo è ancora fortissimo, l’uomo xx (come la donna xy) si porta dietro un retaggio che è difficile (e forse non utile) cancellare.
Questi imprinting però non rendono la persona t “meno uomo” o “meno donna”: è semplicemente un modo di essere uomo o donna che si arricchisce di un’esperienza diversa e puo’ generare una maggiore comprensione per il genere umano (a prescindere dall’appartenenza di sesso e genere).
Io sono uomo xx. Per me è importante dirmi uomo, ma è importante dirmi xx, demarcare la mia differenza da chi è maschio, e come uomo è stato socializzato fin dall’infanzia.
Per me è importante dirmi uomo xx perché è importante comunicare che non solo in un corpo maschile (dalla nascita) può albergare quel tipo di identità di genere che (forse per convenzione) chiamiamo maschile.
Per me è importante comunicare che in una società non binaria si potrebbe vivere liberamente come uomini xx, uomini xy, donne xx, donne xy, senza che il fatto che statisticamente le persone xx abbiano un’identità di genere e quelle xy abbiano l’identità di genere “diametralmente opposta” (che poi, sarà vero?) determini poi una regola e “legittimi” o meno alcune condizioni rispetto ad altre.
I termini trans-sessuale, o f TO m, m TO f, trasmettono una visione cis-sessista in cui i generi sono due, e sono intrinsecamente legati ai sessi (quindi al “cambiamento di sesso” se non ci troviamo nella dicotomia uomo-maschio / donna-femmina), quindi sono termini che non solo non hanno la mia simpatia (ciò non significa che poi non li usi se non ne abbia bisogno per semplificare), ma che non mi descrivono: nel mio percorso di vita (ma anche in quella di altre persone gender not conforming) non c’è nè quello che con una grande semplificazione chiamiamo “cambiamento di sesso“, nè un vero e proprio “cambiamento di genere” (semmai presa di consapevolezza).
Se proprio devo usare la T (in senso squisitamente trans-gender e dove intendo trans come al di là dei generi), allora preferisco usare uomo T, donna T, piuttosto che termini che sottolineano la “transessualità” del percorso e non la non conformità di genere.
MI rifaccio anche all’autrice ed amica Monica Romano, che, sicuramente partendo da presupposti meno rivoluzionar-conservatori dei miei, rivendica il termine “ragazza xy“, nel suo romanzo “Storie di ragazze xy“.
Credo sia importante ridurre la differenza tra noi e i cisgender a un mero dato cromosomico. Oltre ad essere simpatico a livello fonetico, ci ricorda quanto sia assurdo che i cromosomi possano, a causa del binarismo sociale, tracciare un destino per persone cis e trans
Alla luce di questo non con maggior imbarazzo di quando dico che sono B negativo, dico anche di essere xx, di avere un corpo di genetica femminile, probabilmente fertile, di essere stato assegnato come F alla nascita (e non per un errore dei medici), di aver anche vissuto per anni identificando me stesso come F (in un’epoca in cui una persona molto giovane non ha molte restrizioni di ruolo, e potevo tranquillamente fare le cose “da maschio“), e di aver poi preso consapevolezza come uomo. Di non desiderare di essere trattato come un uomo xy, o come un “maschio, ma semplicemente di essere rispettato come uomo xx (che non è meno uomo dell’uomo xy, sia chiaro), e soprattutto sottolineo che se oggi il mio impegno politico è soprattutto indirizzato contro il binarismo sociale e politico, contro una burocrazia che dà molto peso ai nostri cromosomi e alla nostra biologia piuttosto che alle nostre attitudini e capacità, è unicamente legato al fatto che sono un uomo xx, e non un uomo xy.


Archiviato in:BINARISMO MACHISMO RUOLI E STEREOTIPI DI GENERE, QUEERZIONARIO "TASSONOMICO", VITA TRANSGENDER Tagged: assigned female, assigned male, binarismo, cis sessismo, cisgender, cromosomi, donna t, donna xy, monica romano, storie di ragazze xy, transgender, uomo t, uomo xx

Binarismo islamista, modernità musulmana

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In quest’ultimo anno siamo diventati tutti esperti di islam. L’opinionista medio di facebook decide se tifare per il burqa o contro, e commenta.
Dichiaro di non essere assolutamente esperto di islam, ma di essere un discreto esperto di binarismo.

Alla luce di questo, vi invito alla presentazione del libro “Dio odia le donne“, di Giuliana Sgrena (clicca qui per il suo articolo sul burqini), lunedì 12 settembre dalle ore 21:00 alle ore 23:30, Villa Pallavicini, Milano (proposto dal Milk e da UAAR), in cui l’autrice ovviamente usa “dio” per indicare chi ha manipolato e deciso i dettami religiosi in modo che fossero svalutanti per il femminile.

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A volte mi chiedo come io possa perdere tempo a trovare sfumature binarie in un maestro di batteria che sottolinea che io sia bravo “per essere xx” a fare un paradiddle, quando poi su molte regioni del mondo stia calando un oscurantismo pericoloso che censura e mutila il femminile. Ho appena la forza di filosofeggiare in occidente per far notare i binarismi striscianti che pervadono le vite di uomini e donne italiani, al massimo cattolici, ma di solito abbastanza secolarizzati: come posso addentrarmi a parlare di una religione che non conosco, sebbene io, nel farmi un’idea, rimanga attaccato al postulato secondo il quale tutto ciò che è binario è oppressivo?

Non riesco a mettermi nell’ottica del pretendere molto di più dai generi in occidente, e guardare quel binarismo così estremo e violento con l‘occhio compassionevole del caucasico del “primo mondo, che non pretende di sollevare la donna non caucasica dal suo destino, perchè “tanto è di un’altra cultura, che non ho gli strumenti per giudicare“.
Il binarismo è il male: assegna un destino alle persone a seconda del loro corredo genetico. Se il binarismo è male in occidente, perchè va “rispettato” nelle culture islamiche?
Rimango molto perplesso osservando una sinistra confusa e senza identità che si limita ad esprimere idee opposte a quella che oggi è la controparte: l’unica destra rimasta, quella di Salvini e degli stronzi reazionari. Se questa gente, in malafede, attacca il maschilismo islamico non per amore e cura della donna nata nella cultura musulmana (poi si manifestano come sessisti con la donna occidentale, basti vedere come trattano Appendino, Raggi Kyenge e Boldrini), ma semplicemente per avere un appiglio in più per odiare gli stranieri (in grande percentuale musulmani), allora di contro la sinistra (anche quella femminista) pone l’accento sull’autodeterminazione della donna di mettere un velo integrale e tramite esso “autodeterminarsi, prendendo come esempio 4 intellettuali francesi di terza generazione, donne col velo (facendo confusione volutamente tra velo e burqa, tanto nel casino della polemica chi guarda queste differenze?), e facendo finta che invece non ci siano intere popolazioni di persone musulmane in cui le donne (ma a volte non solo loro) sono oppresse da dettami binari e teocratici, di cui il velo integrale è solo un simbolo riepilogativo. Non dànno qualche indizio le foto che si vedono di uomini e donne che felici tagliano barbe e bruciano veli?

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O quando gli uomini indossano burqa e veli per solidarietà alle donne?

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Non credete che la nostra connivenza radical chic col sessismo dell’islam politico sia offensivo verso questi popoli che vorrebbero la nostra solidarietà?
Vi rendete conto che a subire il binarismo in questi popoli mediorientali “teocratici” è anche la donna lesbica, la persona trans, etc etc? E che il turista ftm non rettificato dovrebbe armarsi di velo per visitare quei paesi?
Se in un paese straniero occidentale non venissero riconosciute le persone trans, ci indigneremmo o saremmo sereni perchè “evidentemente fa parte della loro cultura“?
Magari anche bruciare le attiviste transfa parte della loro cultura?”

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Ma no, si preferisce usare autodeterminazione per parlare di donne col velo integrale. E definire sessista e maschilista, quando non razzista, il dire che il burqa è binario (se non lo fosse lo indosserebbero anche i mariti, no?).
Oggi per essere “di sinistra” devi essere inclusivo verso tutto. Anche verso il binarismo dei popoli “non occidentali. Accusarli di binarismo e di sessismo sarebbe “razzista” e “giudicante”.

Ricordo come era difficile vivere, ai miei tempi in Sicilia. Catechismi, scuola, etc etc, ti convincevano che la brava ragazza doveva arrivare vergine al matrimonio, e alla fine ci arrivava anche, e , se le chiedevi, ti diceva che era una “sua scelta“. Sarei stato inorridito se avessi saputo che, dal Nord Italia, che immaginavo progredito e moderno, qualcuno, atteggiandosi ad “antropologo“, avesse detto che quel binarismo era giusto poichè parte della cultura meridionale, e che quelle donne erano vergini fino al matrimonio “per scelta“.Probabilmente anche molte donne somale, convinte che se non ti fai infibulare sei una troia, sono convinte che quella mutilazione sia una “scelta, eppure noi condanniamo l’infibulazione, perchè è una mutilazione fisica, e non pensiamo a quanto “mutilante” sia una vita intera dietro un velo integrale

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Eppure io ricordo le olimpiadi negli anni 80 e 90. Le guardavo con papà e vedevo donne e uomini di tutte le etnie indossare gli abiti sportivi standard. Ai tempi si parlava ancora di primo e di terzo mondo, e il cosiddetto “terzo mondo” era inebriato dalla modernità e dal desiderio di modernizzarsi. C’era fierezza e voglia di modernità nell’indossare gli abiti dello “stile internazionale“. Non c’era ancora stato l’ 11 settembre e la modernità, lo stile contemporaneo, veniva visto da tutti come “progresso”, e non come “occidentalizzazione”. E di quel progresso hanno beneficiato tante persone e tanti popoli, anche musulmani. Da quando questo feroce dibattito monopolizza la sinistra, sono sparite tutte quelle foto che chi è  giovane come me non puo’ ricordare. Le foto degli anni 70, della Persia e del Maghreb, in cui le donne, con tagli di capelli occidentali (o meglio, allora si sarebbe detto “internazionali”), vivevano lo stesso progresso che vivevamo noi, e non c’erano oriente e occidente: c’era solo un passato medievale e un futuro più equo, meno sessista, meno razzista, in cui le differenze scemavano e tutti quanti, uomini e donne, a precindere da religioni e colori della pelle, beneficiavano dell’illuminismo e delle sue conquiste.
Oggi invece è tutto un Occidente vs Medio Oriente. Chi difende burqa e burqini dimentica che non stiamo difendendo antiche tradizioni immutabili. Dimentica che le madri e le nonne di chi oggi indossa il burqini come se ci fosse sempre stato, andavano in giro in jeans, coi capelli corti, fumavano, erano donne libere (la foto sottostante non è di una spiaggia del nord del Mediterraneo, ma del sud del Mediterraneo).

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E, per gli increduli, ecco una gallery sulle donne iraniane negli anni 70.

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E’ più semplice e populista dimenticare tutto questo, o considerarlo un “vizio borgheseche noi perfidi bianchi avevamo esteso alle donne “del terzo mondo”.
Oggi “fa razzista” proporre la modernità come concetto globale. Si pensa, comodamente, che siamo noi con la pelle rosa a dover e poter usufruire delle conquiste illuministe, mentre paternalisticamente dobbiamo abbandonare gli altri al loro destino, che va sempre di più verso l’oscurantismo.

Di contro le destre amano immaginare i musulmani come coincidenti con “l’islam politico”.
E’ facile immaginare come “atee” le femministe musulmane, cancellare il loro tentativo di conciliare spiritualità e libertà. E’ facile dimenticare che essere musulmani e moderni si puo’. E’ facile dimenticarsi delle spiagge dei paesi a maggioranza o totalità musulmana, che fino a pochi anni fa erano pieni di bikini.
E’ facile fare finta che i costumi integrali non siano apparsi timidamente, che le prime non siano state derise, ma che anno dopo anno non siano diventate la maggioranza e che non siano infine diventate “puttane” quelle poche che il bikini hanno deciso di tenerselo (finchè potranno, dove possono).
Sembra che all’opinionista occidentale convenga fare confusione non solo tra velo e burqa, ma anche tra musulmani e islamisti.

E’ facile, se si è radical chic e si vive in centro, anche provenendo da percorsi di femminismo anni settanta, rivendicare una moschea in un quartiere periferico, lontano dalla loro casa, dove si auspica che la “comunità musulmana” trovi un suo polo (ovvero, un ghetto). E’ facile e e fa chic dire che si vuole la moschea a Milano ma disinteressarsi completamente di come poter creare una coabitazione rispettosa ed inclusiva tra le persone LGBT (e le donne emancipate) che abitano la periferia (e sono tantissime) e l’immigrazione musulmana (che, se raccolta in un ghetto, non aiuterà di certo le donne ad usufruire dei progressi della modernità).

Con che coraggio consideriamo l’illuminismo una “nostra” conquista. L’illuminismo è bianco? è cristiano? è ateo?
Più la modernità (antibinarismo compreso) verrà considerata occidentale, più sarà facile pensare per noi che estenderla sia “razzista” e “irrispettoso”, e più il machista, bigotto e reazionario non occidentale potrà imporre oscurantismo rivendicandolo come qualcosa di etnicamente proprio.

La modernità e l’illumismo sono conquiste umane e noi occidentali (soprattutto illuminati e “di sinistra” non abbiamo alcun diritto di farne qualcosa di nostro e solo nostro).
La donna con la pelle scura non ha meno diritto di noi di vivere ed autodeterminarsi in un ambiente non binario.
Quanto siete davvero” di sinistra?

 

 


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Fertility day: perchè offende?

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Un giorno mi sono visto in bacheca, da parte di ogni mio contatto “donna eterosessuale”, delle simpatiche vignette che chiedevano allo stato di dargli soldi e lavoro per rendere possibile il diventare madre.
Ho in seguito scoperto che questa indignazione era dovuta alla proclamazione del “fertility day”, campagna mirata non solo alla donna (l’uomo non è fertile? non ha il dovere di far figli?) ma che più che come donna la trattava come un utero, un utero che ha il dovere di sfornare figli italici e che soprattutto ha una data di scadenza.

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L’indignazione per il fatto che probabilmente non si fanno figli per motivi di soldi e di crisi economica ci sta, ma …perché non viene colto il vero problema?
Molte donne non fanno figli perché semplicemente non desiderano diventare madri. Altre, alcune di queste, non amano i bambini, cosa che è a quanto pare ancora un tabù, tanto che se una donna dice chiaramente di non amare i bambini viene guardata come cattiva e snaturata (cio’ non accade se un uomo non ama i bambini).

Clicca per vedere lo slideshow.

Mi rendo conto della critica politica di chi accusa uno stato che chiede di fare figli non dando la possibilità di farli. Va ancora “di moda” firmare le dimissioni in bianco nel caso l’assunta donna rimanesse incinta…
Ma se dimenticassimo per un attimo tutto questo, e ci concentrassimo sul binarismo e sul sessismo che chiede alle donne di adempiere un “dovere” innato e naturale?
Tutto questo non vi ricorda….

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Miss e Mister Trans…cosa premiano?

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Ormai da molti anni si è affermato il concorso “Miss Trans”, prima nato in ambito gay (locali, associazioni), ormai supportato dalle istituzioni (a volte dei politici locali sono presenti in giuria).

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A vincere sono sempre donne trans non solo con un buon passing, ma anche aderenti ai dettami estetici del binarismo.

Lo stesso ho riscontrato quando a vincere Mister Trans, nato da poco in Italia, è stato un ragazzo non solo con un buon passing, ma aderente allo stereotipo eterosessista di macho (muscoli, peli, tatuaggi).

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Foto di mister trans: vince il ragazzo gender conforming e non quello più androgino accanto.

A questo punto mi chiedo: che caratteristiche deve avere chi vince un concorso per persone transgender?
A chi queste persone devono piacere?
Come sono composte le giurie? Hanno al loro interno persone LGBT e in particolare T?
Il passing deve essere un valore che dà punteggio?
Anche appurato il passing, il o la partecipante deve avere poi un’aderenza ai ruoli di genere tradizionali?
Cosa differenzia i concorsi di Mister e Miss Trans dai concorsi di Miss e Mister Italia?
L’androginia non viene vista come qualcosa di attraente e avvenente?
Come possono le associazioni LGBT avvallare il fatto che i canoni per vincere siano binari, stereotipati, e quindi tutto cio’ contro cui combattono?
Perchè chi ha un’identità di genere binaria, e/o un’espressione di genere binaria, o ha fatto un percorso in cui ha soddisfatto un maggior bisogno di “passare” per biologico/a deve essere “premiato”?
Perché a vincere i concorsi “trans” è chi “non diresti mai che è trans“?

A voi la parola…


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Si ma…il tuo “vero” nome? sotto hai patata o pisello?

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Nelle mie sperimentazioni elaborate per il precedente articolo (binarismo sulle app e i portali), ho provato a propormi anche come genderfluid, genderqueer, agender, etc etc.
Mi rendo conto che queste identità abbiano ancora meno rispetto delle identità “trans” canoniche.
Se una persona dice “ftm”, sta “informando” l’altro del punto di partenza (patata) e quello di arrivo (maschile), e viceversa anche se si dichiara mtf.
L’interlocutore ha bisogno di sapere come sei nato/a.
Se invece ti dichiari “genderfluid” senza accostare le f, le m, le partenze, e gli arrivi, l’interlocutore rimane disorientato, e matura il bisogno quasi ossessivo di “orientarsi” e capire che cosa sei biologicamente.
Se dichiarare di essere uomo ftm o donna mtf puo’ non essere accettato, ma mette a conoscenza l’interlocutore della genetica di chi si presenta come tale, chi si dichiara genderfluid, e magari vuole rendere indifferente la sua appartenenza genetica, disorienta e infastidisce. La sua identità fluida viene presa meno sul serio di quella degli ftm ed elle mtf, attira meno rispetto, e quindi si arriva a domande come “si ma sotto cos’hai?” oppure “ma come ti chiamavi all’anagrafe? qual è il tuo nome vero?”, come se quel dato oggettivo e burocratizzato mettesse ordine nell’anarchia che, illegittimamente, il genderfluid avrebbe voglia di mettere.
Inoltre non si mette in considerazione che un nome anagrafico per un genderfluid potrebbe essere disforico quanto per una persona trans canonica. Si insiste sul volerlo sapere, come se, caduto il binarismo dell’identità di genere, e la retorica del “nato nel corpo sbagliato“, le uniche certezze fossero il sesso di nascita e il nome anagrafico, come se la persona genderfluid fosse semplicemente un maschio o una femmina con ambizioni non binarie (che però valgono quel che valgono).
La genderfluid-fobia dovrebbe allarmare i trans canonici? Si.
Se ci accettano solo e soltanto perchè siamo una realtà meno lontana dai loro modi di ragionare per matrici, e se, caduti questi  dettami, diventano ostili e legati al corpo, cosa ci garantisce che ci accettino e ci capiscano “davvero“?


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Non binari e non medicalizzati: un separatismo culturale per definirci senza un “non”

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Questo blog, in questi quasi dieci anni, ha cercato di dare una casa alle persone non cisgender che però non si sentono rappresentate nè dalla narrativa transessuale, nè da quella queer, nè da quella cisgender.
Si tratta di persone portatrici di una tematica di genere, ma il cui modo di vivere la tematica è diverso sia da quello tipico delle persone transessuali (essere nati nel corpo sbagliato e/o identificarsi nettamente in un genere e/o desiderare una medicalizzazione e/o avere una disforia fisica col corpo), nè dagli attivisti queer (che hanno un approccio prevalentemente politico e sociale al genere, in continuità con i femminismi non binari e intersezionali, ma che spesso non hanno una personale disforia e urgenti istanze per migliorare la vita della propria persona, oltre ad abbracciare anche una serie di altre battaglie politiche appartenenti a una certa visione politico-economica, e in un certo senso anche uno stile di vita).

La letteratura transessuale e quella queer non riescono a descrivere questa fetta identitaria di persone gender variant, e coniano termini inadatti e inesatti.

Vi sono termini, per lo più associati ai/alle gender variant xy, che strizzano l’occhio, erroneamente, al mondo del feticismo e del bdsm, e che hanno un approccio più che altro sessuale o estetico. Termini come crossdresser, sissy, trav, indicano sicuramente una persona non medicalizzata che, nel privato o in ambienti protetti, veste abiti femminili, e la tematica di genere finisce nello sfondo, si immagina che essa non sia neanche presente in queste persone, che in realtà sono semplicemente descritte dai termini sbagliati.
Spesso si tratta di persone xy con una tematica di genere (femminile binario ma non solo), magari senza il desiderio di medicalizzazione, ma che nei panni femminili non ci finiscono per motivi di feticismo, di sadomasochismo o di esibizionismo.
Spesso però queste persone, che non sempre sono “velate”, anche se il binarismo sociale spesso le costringe ad esserlo al di fuori degli ambienti protetti, vengono marginalizzate dalle persone trans canoniche, racchiuse nelle parole “trav” e “crossdresser”, per sottolineare la loro non appartenza al mondo trans e non legittimità a definirsi tali.

Un altro universo marginalizzato, stavolta relativo alla realtà gender variant xx, è quello descritto erroneamente da parole nate in ambito queer, gender studies e femminismi vari: queste persone vengono descritte come gender queer, gender fluid, gender bender, gender rebel, etc etc e la loro varianza di genere, associata al desiderio di non medicalizzarsi e/o alla non identificazione completa con uno dei due generi, viene ricondotta forzatamente alla mera tematica relativa ai ruoli sociali, al loro accesso alla persona xx, alla lotta contro gli stereotipi, contro il sessismo ed il machismo.

Se alla persona gender variant non medicalizzata e non binaria “xy” viene attribuito un approccio meramente estetico e sessuale, alla persona xx viene attribuito un approccio legato al sociale e al ruolo.
Di fatto, gli altri, i cattedratici, gli psichiatri, e gli attivisti canonici LGBT, “decidono” che se non vuoi medicalizzarti e sei xy, la tua è una sperimentazione estetica e sessuale (in quanto tu nato maschio e quindi avvezzo al sesso più del nato femmina), se invece sei xx sicuramente non vuoi medicalizzarti perchè fondamentalmente non hai una tematica di identità di genere ma di ruolo, e quindi sotto sotto sei una donna oppressa dal machismo che puo’ collaborare alla grande lotta femminista sottoforma di queerqualcosa.

Poi c’è tutto il mondo “performante”, vicino al mondo gay e lesbico, dove chi di loro vuole sperimentare il genere lo fa spesso tramite forme artistiche, come l’esperienza drag queen e drag king, che da un lato rappresenta un buono sfogo e nascondiglio per persone che vivono da omosessuali cisgender ma fondamentalmente sono gender variant, di contro permette di sdrammatizzare ed esorcizzare nell’ambito “pulito” e “rispettabile” della performance artistica.

Necessaria è a questo punto una premessa: esistono persone realmente crossdresser, trav, queer, gender rebel, drag king e queen. E’ errato solo attribuire questi termini a chi ha una tematica di identità di genere.

I transessuali di oggi (non uso questo termine per indicare i transgender medicalizzati, ma per indicare quelle persone in transizione che non hanno rivedicazioni politiche transgender) hanno dimenticato il potere evocativo dell’esperienza politica transgender, e marginalizzano i non medicalizzati e coloro che hanno un genere non binario definendoli tramite questi nomi non appropriati, e che ammiccano a vari ambiti, ma non a quello dei diritti.
Spesso non solo non interessa loro portare avanti le battaglie di non medicalizzati e non binari, ma addirittura sono fortemente contrari, nella paura che i diritti per queste persone possano toglierli a loro, e l’esistenza stessa di queste persone possa fare perdere loro credibilità.

Sebbene per una persona gender non conforming non binaria sia interessante insistere per rivendicare per se stessa il termine “transgender”, insistendo che esso non sia fatto coincidere con “transessuale”, per queste persone sarebbe importante un sano (e momentaneo) separatismo di elaborazione pplitica e culturale.

Le realtà T che non sono conformi alla T canonica sono orfane persino di un nome che le definisca senza che vi sia un “non”, e quindi che sia sottolineato il fatto che esse sono solo una costola di un movimento molto più grande, visibile, e con istanze definite.
Non medicalizzati, non binari…non c’è un nome che dia dignità a questa comunità.

Inoltre ad essere visibili sono davvero in pochi, e finchè non vi sarà un nome che permetta a queste persone di identificarsi, si sentiranno sempre una timida costola della transessualità, in cui si chiederà sempre scusa per l’essere meno visibili (ma anche impossibilitati a dichiararsi senza derisioni ed incomprensioni), di non avere il “coraggio” di essere transessuali (quando in realtà si è semplicemente “altro), di avere una disforia prevalentemente sociale e non fisica (viene sempre detto timidamente “io, diversamente da te, in una società non binaria starei da dio e non avrei disforie”).

Come ci si può dichiarare al lavoro, in famiglia, e in tutti gli altri ambiti se prima non si ha un  nome? se si devono usare termini di ripiego “perchè così è più facile far capire”?.
Perchè quei pochi nomi che esistono sono in lingue straniere e non descrivono correttamente ciò che siamo? Perchè non siamo in grado di crearne noi?

Forse le nostre energie sono spesso “sprecate” in battaglie che hanno già molti militanti, e non siamo capaci di fare “separatismo” per definire la nostra subcultura, le nostre istanze, i nostri bisogni, per dare dignità alla nostra disforia anche se è diversa da quella delle persone transessuali, per far capire che il misgendering (ignorare il nostro genere ed attribuirci il genere grammaticale coerente col sesso di nascita) è grave anche se fatto su di noi. Forse siamo troppo deboli perchè qualcuno ha fatto passare l’idea che meritiamo il genere corretto solo se “passiamo“, e invece a noi i nostri corpi piacciono androgini, e non abbiamo intenzione di cambiare look o fisiologia per “meritare” il rispetto del nostro genere.

Forse abbiamo impiegato molto tempo a battaglie comuni e trasversali e poco a definire le nostre istanze: a far si che abbiano spazio le nostre istanze:
– l’istanza per cui anche noi desideriamo il supporto psicologico tramite la mutua, anche se non inizierà nessun percorso endocrinologico
– l’istanza che prevede che, se arrivasse sul tavolo una legge contro la transfobia, possa ricorrere ad essa anche chi non ha una “patente” di trans, e che sia una legge contro ogni violenza alla libertà di genere e non solo di “rispetto delle persone trans canoniche”
– l’istanza che permetta di avere il cambio anagrafico senza nessuna costrizione alla medicalizzazione
– l’istanza che preveda informazione sulla nostra specifica condizione sui posti di lavoro, nelle scuole, e in ambienti sanitari, per permetterci un accesso che non sia umiliante, vessatorio, e che cancelli le nostre identià.

Non escludo che si possa e si voglia fare attivismo anche in altre battaglie di più ampio respiro, contro il binarismo, per i diritti omo/bisessuali, ma se la persona dimentica la sua precisa istanza, nessuno la porterà avanti per lei.

Del resto anche Primo Levi diceva: “Se non sono io per me, chi sarà per me?”

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Gay sta a bisessuale come trans sta a … ? (è il momento di autodefinirci)

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Quando iniziai a percorrere la mia strada di consapevolezza e di attivismo dovetti aspettare alcuni anni prima di trovare una persona che sentissi a me vicina.
Un giorno su un portale allora chiamato GayRomeo conobbi un ragazzo che ai tempi si definiva gay, e a cui dissi di essere attivista.
Col tempo la nostra relazione finì, ma la nostra amicizia no, e, confrontandosi con una persona di genere non conforme, lui riuscì ad ammettere a se stesso e agli altri di non essere completamente omosessuale, di provare attrazione per uomini androgini e donne androgine, quasi di preferirli, ma  a quel punto iniziò a riflettere su come entrare nel mondo gay aveva censurato questa sua identità ed istanza schiacciandolo nell’identità politica gay, facendogli credere che la sua presenza nel movimento era dovuta non alla sua bisessualità e alla rivendicazione di essa, ma alla sua “parte omosessuale” e alla difesa dei diritti omosessuali. A causa dello stigma da parte del mondo etero, ma soprattutto da parte del mondo omosessuale, e alla convenienza che questo mondo aveva a tenerlo tra le sue file di attivisti, era diventato uno dei tanti militanti contro l’omofobia e per i matrimoni gay.
Oggi Leonardo è un attivista per la pansessualità e la bisessualità, insiste che nelle scuole, nella sanità e sui posti di lavoro si parli di bisessualità e pansessualità, nonchè di bifobia e panfobia, e milita contro il binarismo.
Fare attivismo con lui mi piaceva perché, anche se in condizioni diverse, condividevamo l’essere sospesi tra il mondo dei cis/etero e quello dei gay e trans, che ci accettava ma con riserva, col permesso di soggiorno, solo se “accettavamo” di definirci come loro. Ciò per lui comportava l’atto semplice (ma non banale) di definirsi gay. Per quanto riguarda me, il pegno da pagare era l’essere transessuale, fare la mia bella transizione medicalizzata e canonica, raccontare le mie trans narratives sulla mia infanzia binaria nel corpo sbagliato, mettere la mia bella cravatta, tatuarmi il simbolo trans, fare palestra, e guardare sotto le gonnelle.
La mia istanza veniva sempre schiacciata. C’era sempre un ombrello che doveva comprendermi, e quasi mi faceva il “piacere” e l’onore di comprendermi, cancellando poi le mie istanze, mostrandosi contrario, o paternalisticamente dicendo che ci sarebbe stato tempo, in futuro, per le mie istanze, in un mondo migliore, quando noi saremo tutti morti. nel frattempo le mie braccia (rubate all’architettura?) erano pronte a portare i loro picchetti, per migliorare le loro condizioni di vita.
Io, orfano di una comunità che mi accogliesse e mi includesse, per anni mi sono nascosto nella T come chi, essendo bisessuale, si è nascosto nella G.
Tutti erano fieri di noi, noi coraggiosi che facevamo dei coming out (con parole che non ci definivano e non sentivamo nostre), perchè non rimanevamo nascosti come chi, nella mia situazione, viveva da cis, o come chi, essendo bi, viveva da etero.
C’era chi non riusciva a comprendere la nostra coppia, perché non voleva credere alla sua bisessualità (per loro era gay) nè alla mia non conformità di genere (per loro ero donna). Queste due affermazioni, se affermate inseme, creavano un paradosso, secondo il quale noi non potevamo essere, o essere stati, coppia, ma ne eravamo divertiti, perché era l’ennesima conferma del non rientrare nei loro schemi binari, in cui se qualcuno è fuori da cis, trans, omo, etero, non esiste o si sta definendo in modo sbagliato, per confusione o mancanza di coraggio.
Non c’è ancora un termine per “i bisessuali” dell’identità di genere, o meglio, ce ne sono troppi (ma sono stati coniati da altri).
Puzzano di teoria queer, oppure sottolineano un “passaggio” che molti come me non sentono proprio.
Se trans fosse recepito come speculare di cis, si parlerebbe di essere al di là o al di quà dei confini del genere. Purtroppo però nella percezione comune “trans” sottolinea un passaggio e un cambiamento, spesso fisico, o anche di ruolo di genere, che magari ha senso se si parla di trans medicalizzati, ma ha meno senso se si parla di tutte le altre variabili di genere, che più che sottolineare, nel definirsi, il “cambiamento” (quel “to” di FtoM e di MtoF), sottolineano la differenza, una differenza, una non conformità, che c’è da sempre e non si riduce ad una metamorfosi.
Se oggi bi e pansessuale sono termini abbastanza chiari per definire l’universo di orientamenti eroticoaffettivi tra omo ed etero, non c’è ancora un termine per descrivere la condizione delle persone tra cisgender e transessuale.
Quando i primi bisessuali alzarono la testa per fare attivismo, subito gay e lesbiche misero sulle loro spalle il peso degli errori e della viltà di chi, in passato, essendo bisessuale o gay velato, aveva vissuto nell’ombra, nascondendosi in matrimoni etero e nella rassicurante vita sociale da “normale“.
Anche con noi lo fanno. Ci paragonano ai travestiti del sabato sera, i top manager con moglie e figli. Alle signorine che sono maschietti su facebook ma poi sono, nella vita reale, solo ragazze con smalti metallizzati e capelli verdi. A chi cambia definizione e polarità di genere una volta a settimana, in una nevrotica e instancabile creazione e disattivazione di profili facebook e twitter, e ci dicono che siamo pochi, picareschi, incapaci di metterci nome, cognome e faccia, incapaci di formalizzare le nostre istanze.
Ma quando alcuni di noi (non troppi), riusciranno a produrre un documento con istanze chiare, come hanno fatto le famose 49 lesbiche, e quando chiederemo al gay, lesbiche, transessuali, pensatori queer, intersessuali, bisessuali, asessuali, di sottoscriverle?
Quando chiederemo di essere compresi in una legge “contro la transfobia” che non comprenda solo periziati e ormonati, così come i bisessuali hanno chiesto di essere compresi in una legge “contro l’omofobia” che tuteli tutti gli orientamenti e non solo quello omo, quando chiederemo il riconoscimento delle persone non binarie e non medicalizzate, loro firmerano con noi o polemizzeranno?
Penseranno che estendere i diritti a noi tolga qualcosa a loro?
Come gli etero che pensano che il matrimonio gay tolga qualcosa al loro matrimonio?
Questi sono interrogativi che avranno risposta solo quando ci faremo sentire.
Nel frattempo i bisessuali sono arrivati alla loro quarta giornata della visibilità bisessuale, e coinvolgono sempre più persone, hanno introdotto la parola “Bifobia, che ormai sentiamo usare anche da parlamentari.
E’ il momento che i “non-” dell’identità di genere si facciano sentire.
Se sei uno/a/* di noi, scrivici.
progettogenderqueer@gmail.com

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Il morto di figa: un prodotto marcio del binarismo?

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Dopo tanti post di rivendicazione antibinaria, ecco un post più leggero, almeno apparentemente.

Tutti noi, soprattutto persone con un passato o un presente “al femminile”, sanno cosa è un morto di figa.

Il mondo dei social network prima e delle app poi ha creato un nuovo tipo di morto di figa: il dead of phyga 2.0
Questo mondo è maggiormente accessibile anche a chi non può permettersi i locali, i quali, per sfruttarlo, tassano maggiormente l’ingresso all’uomo etero per tassargli la possibilità di raggiungere la donna.

Anche alcuni portali fanno questo giochetto, ma basta scegliere quelli che consentono accessi gratuiti: happen, tinder, badoo, okcupid, e banalmente anche facebook.

Il morto di figa esiste solo perché esiste il binarismo, che crea un mercato in cui la donna è la merce (che seleziona e non si concede) e l’uomo è il consumatore, il predatore, quello che deve seminare tanto per sperare di raccogliere, ma paradossalmente più semina, più viene percepito come uno che non sceglie…e nessuna donna vuole essere il ripiego di un morto di figa.

Se l’educazione eroticoaffettiva fosse paritaria  e non binaria, uomini e donne non si sentirebbero in un gioco di accesso o meno al piacere per volontà dell’altra parte, ma sarebbe la ricerca libera di un piacere reciproco.

Finchè una donna sessualmente libera sarà una “troia” e un uomo sessualmente libero sarà la norma, e finchè gli uomini stessi fomentano questo stereotipo, saranno poi vittima della condizione di morto di figa, condita con un malcelato livore misogino per “la donna” in quanto difficile e a lui inaccessibile.

L’uomo morto di figa è, etologicamente parlando, il maschio “beta”, quello che non ci sa fare, quello che non viene preferito, e che deve inventare sempre nuove strategie, spesso grossolane e controproducenti, che lo rendono frettoloso, maldestro, inadeguato, e per questo scartato.

Spesso il morto di figa preferisce le bruttarelle perchè pensa che l’accesso sia più facile, solo che fa loro capire che sono per lui un ripiego, e perde anch’esse.

Infine, tra quelle che lui percepisce come “bruttarelle” e quindi abbordabili, spesso c’è l’universo trans, che, nella sua mente (consciamente e o meno) transfobica, egli percepisce come scarto.

E’ per questo che gli ftm pre transizione, i genderfluid di genetica xx, le trav, le trans sono spesso tormentate da un’interminabile fila di uomini morti di figa, con approcci improbabili.

A volte una persona trans xx poco solida e sicura puo’ cedere alla corte del morto di figa, puo’ anche soprassedere sul suo orientamento sessuale (succede ad alcuni ftm gay preT e genderfluid xx) o farsi invaghire dal “grande onore” che egli riserva rispettando il suo genere (maschile o non binario).
L’ftm gay viene sotto sotto visto come una donna promiscua e disinibita, e il suo frequentare saune e portali viene visto non come un comportamento da uomo gay, ma da donna “morta di cazzo”.
Anche alcune ragazze trans, magari senza un gran passing, o all’inizio, cedono alla corte del morto di figa, che essendo “etero”, rappresenta un ideale sessuale per loro.

Un’altra preda del morto di figa è la ragazza bisessuale. Si infiltrano nei gruppi a tema rimanendo vaghi sulla loro bisessualità o dicendo che non hanno ancora provato esperienze bisex, ma sostanzialmente cercano donne bi nella speranza che esse siano facili o disibite.

Anche i gruppi del poliamore, virtuali e non, sono pieni di morti di figa. Essi si mimetizzano nella speranza che le donne presenti in questi gruppi siano promiscue in quanto non hanno capito nulla della filosofia poliamorista.

Credo che gli unici posti dove il morto di figa non dilaga siano, alla fin della fiera, i gruppi sull’asessualità.

Vi saluto, con la speranza che voi non siate la preda di un morto di figa….o magari…chi lo sa, siete voi i morti di figa😀

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In memoria di Alessandro Rizzo, vicepresidente del Milk e co-fondatore del Simposio, nonchè amico

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Ho conosciuto Alessandro Rizzo nel 2009. Io e Fabio Valerio Bertini eravamo andati da Alessandro Martini per il laboratorio cinematografico del Circolo Culturale TBGL Harvey Milk Milano.
L’ho rivisto mesi dopo, era relatore a una conferenza sui diritti LGBT in un Circolo Arci vicino a piazza Lodi.
Tempo dopo Alessandro si è avvicinato al Milk e ne è diventato responsabile Progetto Cultura.
Ci sentivamo molto spesso, per organizzare gli eventi del Milk, come massoneria rainbow con Enrico Proserpio, buddhismo LGBT con Jacopo Enrico Daie Milani, crossdressing con Andrea Sabrina Bianchetti , o quello sui bisessuali con Davide Amato, più recentemente, l’evento sulle periferie LGBT con Daniele Dodaro, l’evento di David Barzelatto con Daniele Brattoli e quello imminente sugli adolescenti T con Roberta Ribali, Stefano Ricotta e Valentina Guggiari. Ricordo quest’estate quella pazza cena vicino alla Casa dei Diritti, in cui io e Martina Manfrin riempivamo Ale di proposte per la nuova stagione. Ricordo quando, nel 2014, con Danilo Ruocco abbiamo fondato la rivista Il Simposio, e di quando noi tre con Monica Romano l’abbiamo presentata al Milk.
Ricordo quando alle cene di Leonardo Davide Razvan Meda e Emanuele Satiro Boscarino Gaetano io e Ale suonavamo la campanella per annunciare il “discorso” in cui presentavamo i progetti del Milk, iniziando sempre dallo sportello legale di Marco D’Aloi.
Ricordo quando andavamo insieme alla Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni o all’ Uaar dalla cara amica Valeria Rosini.
Tutte le persone che ho citato, o quasi, erano care amiche per Alessandro, eravamo una grande famiglia, che oggi si sente privata di un pezzo importante.
Ricordo quando io ed Ale andavamo alla libreria esoterica. Aveva scelto un pendolo arcobaleno, ma era indeciso. Così glielo comprai ma poi ogni volta che ci vedevamo me ne dimenticavo.
Ale è stato il primo a vedere la mia casa nuova, mi parlava del suo monolocale e di come lo stava arredando.
Ale non si dimenticava mai di farmi gli auguri, e ricordo che una volta mi fece un regalo a sorpresa. Io lo avevo già comprato, era un libro e sapeva che lo desideravo, ma gli dissi lo stesso di farmi una dedica, perché mi aveva tanto commosso quel pensiero che volevo averne due copie, e la sua l’avrei conservata per ricordo.
Ale correggeva gli autori e i relatori se davano il maschile a un personaggio trans del loro libro. Ale rispondeva a tono se in un comunicato stampa venivano dimenticate le persone bisessuali. Ale quest’anno voleva dedicare un evento agli asessuali con Alice Redaelli e agli intersessuali con Sabina Zagari. Ale ha sempre sognato un Milk plurale e lui non era uno del Milk, lui era la vera anima del Milk, chi più di noi tutti rappresentava la natura del circolo, ed uno dei pochi ragazzi Gay che lottava contro il binarismo e per i diritti delle minoranze ignorate dell’acronimo.
Ricordo la sua dolcezza nel comunicare, anche per iscritto, il suo garbo: le sue mail particolarmente gentili e ossequiose che scriveva a collaboratori e relatori.
Alessandro era una persona coltissima, sensibile, intelligente.
Io e Monica Romano avremmo tanto voluto che divenisse lui Presidente nel prossimo mandato Milk, perché era quello che più di noi tutti aveva passione.
Ricordo come faceva girare il foglio per prendere le mail, e poi me le mandava. Cercavamo insieme di capire insieme le calligrafie più astruse e a volte non ne venivamo a capo.
Ale è forse l’unica persona con cui non ho mai litigato, e considerando il pessimo carattere che ho è un miracolo: con Ale era impossibile litigare perché era una persona dolcissima e sapeva capire le posizioni di tutti.
E’ stato uno dei migliori compagni di attivismo che ho avuto. Mai è stato manchevole nell’organizzazione di un evento al Milk. Era ineccepibile, serissimo, la sua agendina era un mondo di contatti che sapeva sempre quando e come contattare, per creare sinergie ed eventi culturali di spicco.
Ale, come ti ricorderemo? Forse come colui che aveva gusto nel vestire o forse come colui che, diciamolo, aveva un gran gusto anche sugli uomini. O forse come un amico, un pezzo della nostra piccola famiglia TBGL. Il telefono non smette di squillare. Tutte le persone che abbiamo incontrato insieme, nel nostro percorso, mi chiedono se è vero che ci hai lasciato, mi chiedono come è possibile che persino noi del direttivo di cui eri vicepresidente da ormai non so quanti anni hanno saputo la cosa oggi e per caso. Avremmo voluto ricordarti al funerale, essere il tuo direttivo, la tua famiglia.
Eppure lo abbiamo saputo solo adesso, da facebook, per caso. Ero al corso di inglese e ho subito capito che non si trattava di uno scherzo. La cosa mi ha talmente sconvolto che ho lasciato la classe non vedendo l’ora di riprendere il tuo libro, di leggere la tua dedica. Il cellulare si è spento per il bombardamento di chiamate (Leo Cumbo, @enrico fava, e tanti altri) e messaggi in cui la tua famiglia LGBT chiede di te.
Ale, perché ci hai lasciato? Mi ricordo di quando riprendevi i tormentoni semantici miei e di Monica. Il mio “sono tutti picareschi!” o anche gli “abbracci circolari” di Monica.
Quando ci renderemo conto che non ci sei più? Al primo direttivo senza di te, alla prima assemblea senza di te.
Ho sempre detto, per scherzo, che se fossi caduto con lo scooter e fossi morto, magari tu avresti cambiato il nome del circolo in Nathan Bonnì. Ricordi? Ne ridevamo, io te e Leo.
Oggi penso che te lo dobbiamo di dedicarti il nostro circolo. Tu ne sei stato il simbolo. Tu hai dedicato al circolo tanti anni con grande passione, e ci inviti ad andare avanti con altrettanta passione.

Con te se ne va una parte di noi.

Scusate se non rileggo, non ce la faccio. Perdonerete eventuali refusi.


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Perché per una persona transgender è importante essere su Linkedin

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I contatti filtrati permettono alla persona “gender non conforming” di valorizzarsi senza l’imbarazzo del nome non rettificato, dell’aspetto non conforme, ponendo l’accento sulle competenze, le visioni della vita e del mondo del lavoro.

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Linkedin è il social media che più aggiorno e sviluppo.
Non è un segreto che il tema “transgender e in carriera: si può” sia uno dei miei preferiti e maggiormente congeniali, come non è un segreto che io faccia parte di quella categoria di persone T che al liceo erano bullizzate non solo come T ma anche come nerd, e che negli anni abbia fatto di questo un punto di forza, interessandomi di Seo, social media management, personal branding, net branding, web content management, content marketing, blogging, storyteling, sociologia del contatto filtrato,e di tutte quelle strategie che permettono a un nerd di atteggiarsi da Geek, Enfant Prodige, Zuckemberg dei poveri, Millennial rampante e compagnia cantante.

Credo che sia facile, per una persona di aspetto “not conforming”, sentirsi più a proprio agio tramite un mezzo filtrato, ed è per questo che ho sempre mal tollerato le vetuste cariatidi di entrambi i sessi e le loro filippiche contro la modernità: internet è una risorsa, mette in primo piano te, le tue idee, le tue competenze, o, se vogliamo fare i trendy, “skills”.

Lo hanno ben capito tutti gli attivisti da tastiera, aspiranti “influencer”, appartenenti alle mille sfumature tra omo ed etero, e tra cis e trans, che avrebbero molto meno spazio se si proponessero dal vivo in ambienti colonizzati da identità “tradizionalmente diverse”.

I giovani transgender non medicalizzati, genderfluid, non binari etc etc sono molto abili nel destreggiarsi tra Facebook, Twitter, Google+, e tutti quei simpatici aggregatori che permettono di spammare, senza le dovute differenze di sfumature, spesso necessarie, lo stesso contenuto su mille social.

I social su cui però spesso le persone gender not conforming non approdano sono quelle che potrebbero accrescere il loro net branding dal punto di vista professionale, come Academia.edu o, ancora prima, Linkedin.

Me ne sono reso conto quando, importando il file XML della mia rubrica gmail sul mio profilo Linkedin (precedentemente riservato alla mia rete di contatti professionali), le uniche figure importate erano quelle di persone cisgender.

Le persone trans, soprattutto quelle non rettificate, non erano quasi mai presenti.
Vorrei quindi dare una mano alle persone trans in tal senso, sia quelle soddisfatte della propria carriera, sia quelle in cerca di nuove opportunità, sia quelle che vogliono compiere su loro stesse un “orientamento” rispetto alla loro professione: quelle che, in altre parole, vogliono “transizionare” di professione.

I primi scogli sono quelli del nome anagrafico e della foto. Mi permetto di dare consigli in tal senso perché il mio profilo Linkedin è molto seguito e apprezzato, almeno secondo le statistiche del portale stesso (sono il quinto contatto in una rete di cinquemila e il primo nella mia rete aziendale di duecento persone, e il mio Social Selling Index è all’80%), quindi penso che i compromessi da me proposti siano interessanti, o almeno da prendere in considerazione.
Forse non è intelligente aiutare altri a trovare lavoro, ma è pur vero che quasi nessuno di voi è Architetto, Bim Specialist, 3D Visualizer, né credo che vi occupiate di certificazioni energetiche, modellazione e rendering et similia…e comunque per me è sempre un piacere aiutare le persone transgender a migliorare il loro personal branding, perché più saranno visibili le qualità delle persone T, più tutta la comunità  T e i suoi singoli membri avranno prestigio e credibilità professionale.

Per quanto riguarda la foto, i migliori manuali consigliano un bel primo piano. Personalmente ho preferito una foto che mi inquadrasse non troppo da vicino, che mi raffigurasse in abiti maschili, ma non inequivocabili (non ho la cravatta) e la cui distanza dall’obiettivo permettesse all’osservatore di avere dubbi sul mio genere.
Personalmente chi mi contatta si rivolge a me al maschile, ma è anche vero che di solito si tende a rivolgersi al maschile a tutti i profili senior (per via del maschilismo vigente) e in generale alle persone di cui si ha dubbi sul genere (soprattutto se prive di “orpelli” femme). Questo è il sistema con cui ho risolto la mia personale situazione, ma ovviamente le soluzioni sono tante, e vanno sperimentate: la foto scelta deve farci sentire a nostro agio, e se ci rappresenta poco non lo saremo: sarebbe come presentarsi a un colloquio con un vestito che non è il nostro, e che non si pensi che dietro un monitor, compartecipando con un avatar, sia tanto diverso.

Per quanto riguarda il nome, Linkedin preferisce un nome ed un cognome, ma non credo siano fiscali per quanto riguarda la corrispondenza anagrafica. Se avete fatto coming out nella vostra rete professionale, o di ex studenti, professori e colleghi, vi consiglio di mettere direttamente il nome d’elezione e il nome che userete nella vostra vita professionale futura.
Nel mio caso ho preferito non inserire nè il nome anagrafico nè quello d’elezione, poiché preferisco valorizzare il cognome, che mi rende riconoscibile anche con vecchi contatti persi da decenni, a cui posso dire di me dopo che mi hanno aggiunto alla loro rete (diversamente da facebook, su Linkedin, a meno che tu non abbia il profilo premium, puoi messaggiare solo con chi è già nella tua rete). Inoltre io faccio un lavoro in cui firmo e personalmente preferisco spiegare in un secondo tempo il discorso nome d’elezione e nome anagrafico.
Alcuni professionisti (cisgender) decidono di mettere il titolo al posto del nome (Ingegner Carmelini), e, anche se la cosa non è particolarmente ben vista dal portale, viene tollerata.
Altri decidono di inserire un alias, che è l’alias con cui sono conosciuti, ad esempio, come blogger, o è il nome del loro progetto da freelance. Anche su questo punto, scegliete la soluzione a voi più congeniale, e non credete a chi vi dice che un profilo “ambiguo” sotto l’aspetto del genere non viene cliccato: io ricevo un sacco di proposte, nonostante probabilmente molti di loro abbiano dei dubbi sul mio genere.

Degli “handicap” comunicativi come una foto e un nome poco chiaro, in un mondo binario in cui non sapere il genere di una persona disorienta e non poco, devono essere compensati da una concretezza esasperata dei contenuti del profilo: quindi non abbiate vergogna, e compilate, compilate dettagliatamente mettendo precisi riferimenti ai luoghi dove avete lavorato e dove eventualmente vi referenzierebbero perché hanno un buon ricordo di voi.

Aggiungete ex compagni di scuola, di università, di lavori precedenti, ex capi, ex professori e, mi raccomando, chiedete loro la conferma delle skills oltre che delle referenze. Al limite, per incentivarli a farlo, fate anche voi un primo passo e referenziateli: un profilo senza nome e senza foto chiara deve essere ineccepibile rispetto a tutto il resto.

Capitalizzate le vostre attività extralavorative. Avete fatto attivismo? Avete tenuto blog e forum per anni? So che la tendenza è quella di ragionare con la mente dell’altro (e la mente dell’altro, guardacaso, è transfobica), ma non dimenticate che Linkedin è un portale straniero, e quindi gli algoritmi sono pensati con la logica dei portali stranieri, e all’estero non è un handicap essere un attivista, un blogger, un influencer, un opinion leader.
Non pensate a quanto queste attività siano lontane dalla vostra professione: alcune capacità acquisite nell’attivismo vi arricchiscono in generale come persone e come lavoratori: team building, problem solving e tanto altro.
E le notti a tradurre testi genderfluid dall’americano? Ci avranno skillati dal punto di vista delle lingue straniere? Si? Che aspetti: compila! 😀

Sei fermo da un po’ e non hai completato gli studi? Lanciati verso le nuove professioni legate al digitale. C’è grande richiesta di webdesigner, grafici, impaginatori, e tutto questo puoi impararlo a costo zero.
Grazie agli attivisti Opensource esistono un sacco di risorse free: Inkscape e GIMP per il disegno vettoriale e raster, Scribus per l’impaginazione (sarebbe bello che pubblicassi i tuoi saggi in pdf su Academia.edu, piuttosto che farli perdere nei meandri di qualche piattaforma blog che potrebbe non essere online tra qualche anno), e via via una serie di programmi free che variano da settore a settore (per noi renderisti ci sono Blender e Sketchup, ma scommetto che digitando su google “opensource” legato a concetti relativi al tuo settore troverai un programma free pronto ad essere imparato da te in poche ore di lavoro e olio di gomito!)
Il bello dei programmi opensource è la quantità infinita di materiale didattico free (video e in pdf) che gli sviluppatori e gli affezionati hanno prodotto e lasciato online.
Se tu volessi reinventarti come grafico imparando, per esempio, GIMP, troveresti con facilità diverse guide PDF anche solo cercando “guida pdf gimp” su google.
Se poi hai la fortuna di avere le licenze di papà nel tuo pc, allora ti informo che è facile reperire guide e videoguide anche di software non free.
Oggigiorno molti formatori del digitale hanno smesso di fare corsi a pagamento e li mettono gratuitamente sui loro canali youtube, avendo poi un ritorno di immagine nel loro settore o i proventi che google dà ai migliori e più cliccati youtubers: quindi non sentirti un ladro se ti sta formando gratis…pensa che il formatore ha i suoi interessi o, chi lo sa! Magari è solo narcisista 😀
Se preferisci invece la formazione tramite guide tradizionali, troverai su google un sacco di dispense in PDF di professori universitari, spesso nei siti degli atenei. Ce ne sono parecchie, ad esempio, su photoshop, e immagino non sia difficile trovarne relative ai programmi del tuo ambito.
Impegna qualche mese in questo e vedrai che le opportunità arriveranno, oltre a sentirti meglio tu (ci si sente bene quando si lavora per migliorare se stessi e imparare cose nuove).

Fatti un sito. Ormai molte piattaforme permettono di fare siti free e senza conoscenze di html e altri linguaggi. Fai un bel sito/biglietto da visita, e linkalo in tutti i tuoi social. Già solo farlo, scegliere i contenuti da mettere dentro, e a cosa dare priorità ti aiuterà a auto-orientarti professionalmente.

Il tempo che linkedin e i portali relativi alla crescita professionale richiedono non è inferiore a quello che richiede facebook, ma la magia è che sarà un esercizio di disintossicazione dai social generalisti, dalle conversazioni che non portano da nessuna parte, dalle polemiche sul sesso degli angeli che tanto inquinano il nostro mondo e che tanto tempo ci portano via.
Una volta un mio amico venne a casa mia per essere aiutato “coi social” a cambiare lavoro. Mi diede il suo pc e alla fine del mio operato non gli avevo aperto nuovi social…gli avevo solo disattivato facebook 😀

Impara a coltivare i tuoi social media in modo professionale. Hai presente tutto il tempo che impegni su Facebook? Mettere like, condividere status, scriverne di tuoi…ecco: impegnalo su Linkedin (che ha le stesse funzioni), e il tuo profilo scalerà le classifiche (e su questo ti consigli di monitorare sempre le statistiche per vedere come ti piazzi rispetto a ex colleghi, ex compagni di scuola e …cugini).
Postare e condividere su linkedin ha un doppio vantaggio: scopri che i tuoi amici cisgender sono “sul fallito andante” al livello professionale (e quindi smetti di pensare che il problema è che sei trans), e soprattutto ti dis-alieni alla monomania dell’identità di genere.
Facebook è un mondo vasto dove il tema di una bacheca lo fa anche la rete di amici, e se i tuoi amici sono tutti, che ne so, buddhisti, alla fine avrai tremila like quando posti aneddoti sulla vita del buddha o suoi “aforismi” e nessuno quando parli di qualcos’altro: alla fine sarai spinto a parlare solo del buddha e di quanto è bello e appagante essere buddhisti.
Ecco: su linkedin avrai l’opportunità di dire la tua sul mondo del lavoro, delineare i tuoi punti di vista, vedere chi la pensa come te, aggiungere o seguire professionisti interessanti, e spiare il mondo del lavoro, le sue dinamiche e i suoi cambiamenti, per ri-modellare il tuo profilo in modo che sia più “sexy” per il mondo del lavoro.

Solo su una cosa ti metto in guardia: stà lontano dagli sciacalli della crisi. Non impelagarti presso guru, santoni, formatori, motivatori, che cercheranno in tutti i modi di illuderti che la crisi non c’è e il problema sei tu. C’è un sacco di gente, o proprio un’intera categoria professionale, che sta lucrando sulla crisi.
Aggiungi prima persone della tua vita reale e virtuale (anche se non connesse al tuo settore): tuo cugino fa numero, e se fa numero il tuo profilo cresce 😀 e poi, quando avrai finito, aggiungi persone interessanti del tuo settore, potenziali colleghi, capi, recruiter, clienti, ma non farlo finché non avrai sistemato il tuo profilo, o potresti “bruciarteli”.

Se vorrai, per curiosità, potrai aggiungermi a Linkedin. Un lettore è sempre ben accetto nella mia rete di amici. Potresti notare che molte delle strategie che consiglio non le uso in prima persona,che le mie “skill” sono tutte banalissime competenze relative all’uso dei software del mio settore o delle competenze relative alla mia laurea, ma questo dipende solo dal fatto che io ho un profilo formativo e professionale abbastanza progressivo e standard, mentre i consigli che dò sono rivolti soprattutto ai giovani in cerca di nuovi stimoli.

Che altro dire? Tutti noi sappiamo quanto è brutto affrontare il mondo del lavoro, o un colloquio, quando sei gender non conforming e non sai mai quando dire di te, se dire di te…ma alla luce di questo perché non lasciar parlare un social professionale piuttosto che gettarsi nel mare magno dei cv inviati e guardati dai recruiter con la coda dell’occhio?

Forse questo articolo ti lascia perplesso/a, e ti capisco, ma è anche vero che i tentativi che noi facciamo per migliorare la nostra vita in qualche modo ci gasano, anche quando non sono efficaci, o non lo sono sùbito.
Del resto essere trans non significa dover avere sempre (anche nella ricerca del lavoro) un piano B?

Una persona vincente e in carriera, transgender, su linkedin
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Agender, un progetto di Chloe Aftel

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Eventi Culturali Magazine

2setgenderCon la denominazione “agender” si fa riferimento a quella nuova identità di genere con la quale vengono indicate le persone che non si riconoscono come donne né uomini. La terminologia in questione è ricca e varia: androgino, transessuale, neutro e bigenero sono solo alcuni esempi. Nel febbraio del 2014, negli USA, Facebook ha aggiunto ben cinquanta opzioni di questo tipo per dare maggiore libertà ai propri utenti nello scegliere l’identificazione del proprio genere.Gli “agenders” preferiscono ai consueti pronomi di genere definiti quali “lui” e “lei” l’utilizzo della forma plurale “essi”, più “neutra” e generica (d’ora in poi, quindi, in questo articolo verrà fatta menzione si singoli “agenders” con il pronome di terza persona plurale). Potrebbe sembrare una banalità eppure il riconoscimento della propria identità è un diritto sacrosanto, una necessità fondamentale, specialmente quando questa non è così “ortodossa” ed incontra ancora difficoltà nell’essere accettata. Ci troviamo, di fatto, di fronte…

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Teen Gender: la parola alla Dott.ssa Roberta Ribali

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Domenica 19 Febbraio il Milk Ospita l’evento “Progetto Teen Gender”, riguardante gli adolescenti e le tematiche di genere.
Interverranno la dottoressa Roberta Ribali (psichiatra), i dottori Valentina Guggiari e Stefano Ricotta (psicologi), Daniele Brattoli (assistente sociale), Andrea Pucci (aspetti legali).
Per preparare all’incontro abbiamo intervistato la Dott.ssa Ribali, medico specialista in Neurologia e Psichiatria, psicoanalista, consulente del Tribunale di Milano per le tematiche di identità di genere.

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Ciao Roberta e benvenuta sul blog. Sarai relatrice sei stata promotrice della serata Teen Gender…come mai ti sta a cuore questo tema?

Abbiamo tutti infinite sfumature di identità di genere. Ne ho anch’io,ovviamente…!

Cosa pensi dei bambini “gender non conforming”?
Sono modi d’essere che si ritrovano a volte nei cuccioli della specie Homo Sapiens Sapiens… 🙂

Secondo te è una tematica di ruoli di genere, di identità di genere o i due temi talvolta si intrecciano?
Nei bambini non si puo’ individuare chiaramente …. a volte è un gioco, a volte un intreccio complesso di ruoli esterni e di vissuti intimi e profondi.

Come pensi sia corretto per la famiglia approcciarsi a un bambino “gender not conforming”? Documentarsi, rilassarsi e lasciarlo/a esprimersi con libertà.

E la scuola che doveri ha verso i bambini con una tematica di genere?
Il primo dovere, verso ogni bambino, è il rispetto. La scuola può informare e formare insegnanti e genitori, perché a loro volta comprendano, accettino e passino ai piccoli messaggi di rispetto e tolleranza.

Come tutelarsi dal problema del bullismo?
Prevenendolo, con l’informazione e l’educazione dei bambini al rispetto e anche alla difesa attiva dei più deboli, se occorre.

Se una persona molto giovane manifestasse il desiderio di essere conosciuta e rispettata con un nome “non anagrafico”, come ci si dovrebbe comportare, nelle situazioni maggiormente burocratizzate, come la scuola?
Molte scuole hanno dirigenti e insegnanti aperti e psicologicamente preparati a trovare soluzioni creative e divertenti, accettabili dai bambini e dai genitori. i bambini percepiscono facilmente se un compagno si presenta e si comporta secondo modelli cross, e non fanno una piega, se sono stati educati correttamente. Usare un nome o un soprannome gradito al bambino in questione non mi pare un problema insormontabile.

Il tuo lavoro ti permette un osservatorio privilegiato: come sono gli adolescenti che segui? Decisi? Confusi? e com’è l’ambiente che li circonda?
Gli ambienti sono eterogenei, i contesti sociali italiani sono estremamente vari. Sono soprattutto le famiglie che impostano i ragazzini: poi la scuola e il gruppo che frequentano fanno il resto. Se hanno fortuna, cresceranno più sicuri e con meno ansie, altrimenti ….. saranno i nostri pazienti di domani. Oggi i ragazzi non temono di confrontarsi, se necessario, con professionisti della psiche, e questo è cosa positiva.

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Come sono cambiate le cose negli ultimi decenni?
Da noi, si può dire che gli ambienti più aperti accettano di passare da una visione binaria del genere a una visione più fluida. I media hanno aiutato a cambiare molto le cose, che rapidamente stanno muovendosi verso una maggiore tolleranza.

I professionisti del benessere mentale della persona che accortezze devono avere coi minori con tematiche di genere? e quali sono i rischi?
Molti psicologi e operatori hanno fatto sforzi per aprirsi e studiare nuove teorie e nuovi approcci, ma ancora esistono professionisti che sono rimasti ancorati a pregiudizi superati. Da evitare, semplicemente. Cambiare medico di base, psicoterapeuta o counselor non è difficile.

Qual è l’approccio migliore verso queste giovanissime persone? Quali le mosse da fare per essere maggiormente rispettosi e possibilisti?
Appunto, il rispetto è alla base di qualunque rapporto positivo, con qualunque giovanissimo, e soprattutto con i bambini. Attenzione anche a non strafare, però, con le migliori intenzioni: ai ragazzini che manifestano istanze gender fluid si deve sempre offrire la possibilità di modificare il loro percorso, o di trovarne altri, in direzioni diverse. Senza fretta.

Quali strumenti i professionisti possono dare a questi ragazzini in modo che possano sopravvivere?
Sopravvivere sopravvivono: il professionista deve aiutare a vivere bene! E quindi, deve impegnarsi, muovendosi anche nel sociale che circonda il ragazzino: famiglia, scuola, relazioni.

La tematica di genere puo’ portare un giovanissimo all’abbandono degli studi? cosa si può fare per evitare questo rischio?
E’ , secondo me, uno dei rischi più gravi, conseguenza di sintomi disforici che devono essere portati alla luce ed eliminati. Che genitori, insegnanti e psicologi non abbiano timore a fare domande, di fronte a sofferenze di origine poco chiara!

Ci sono maggiori avversità per i “gender non conforming” di biologia maschile o per quelli di biologia femminile?
Nella nostra cultura le persone M to F a volte sono svantaggiate.

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E’ presente una maggiore tendenza alla fluidità di genere nei giovanissimi? Se si, perché?
Il perché non lo so, so il come. All’epoca dello sviluppo, il percorso sociale appare chiaro, ma un ragazzo ha bisogno di sperimentare, di provare, e di non reprimere le sue fantasie, che sono spesso fluide e contraddittorie.

Le tematiche di genere sono poco studiate e valorizzare: come promuovere la formazione su questi temi?
Si sta già facendo molto, con buona letteratura e buon cinema e teatro. Anche i viaggi ci mettono a confronto con tante mentalità diverse e magari ci insegnano ad essere elastici , curiosi e comprensivi. Il costume sta cambiando, e si deve chiedere con decisione ai nostri politici di adeguare leggi e strumenti sociali e sanitari.

Quanta importanza ha la formazione nelle scuole? e perché i bigotti ne hanno tanta paura?
La formazione nelle scuole, fatta con serenità e misura, non dovrebbe far paura a nessuno: ma le religioni monoteiste sul Pianeta sono potenti e foriere di acriticità , dogmatismo e paura del nuovo… e tante persone danno retta ad aspetti superstiziosi e irrazionali, alla ricerca di sicurezza. Non ci si deve scoraggiare, anzi, il dialogocon tali persone è da cercare ad ogni costo.

Il blog è letto da tantissime persone giovanissime e con tematiche di genere: che augurio e che dritte darebbe ai miei giovani lettori?
Di imparare a rispettare l’altro, e di imparare anche a farsi rispettare sempre , con determinazione, intelligenza ,forza e tenacia.

robertaribali


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Palme in Duomo, atto vandalico del razzisti

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Potevano piacere o non piacere, ma la polemica è stata ricondotta ad un odio verso i meridionali e verso gli stranieri. Un episodio di “razzismo botanico” che ha portato, stanotte, ad un tentativo di dare fuoco all’istallazione, con il risultato di bruciare una palma e danneggiarne due.
Povera palma. Era venuta in italia per farsi fotografare da turisti e cittadini, per farsi tre anni in centro con il panorama del Duomo, ed è stata bruciata da un vandalo.
I presìdi di Forza Nuova e Lega hanno poi portato ad un atto vandalico: ciò va precisato per ricordare che la violenza verbale spesso porta alla violenza fisica.
Ai razzisti livorosi, che dicono che “ormai Milano è dei meridionali”, dedico questa vignetta un po’ “binaria”:

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La fluidità di ruoli e generi nel BDSM, la parola ad Ayzad

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Per un caso fortuito, ma fortunato, un mio precedente articolo sul tema “BDSM, LGBT e Binarismo” è stato inviato da un mio collaboratore social ad Ayzad, giornalista, scrittore e ricercatore, nonché influencer in tema BDSM. Ho piacevolmente ricevuto un suo contatto mail in cui si rendeva disponibile a conversare sulle sessualità alternative di qualsiasi tipo, proponendo un’intervista incrociata, per fare un confronto “come si deve” tra il mondo BDSM e quello LGBT. In attesa dell’uscita dell’intervista che lui ha fatto a me, sui temi LGBT e di binarismo/non binarismo, ho il piacere di pubblicare quella che invece io ho fatto a lui…

 

Buongiorno Ayzad. L’utenza del blog è poco avvezza al tema del BDSM, potresti presentarti per noi?

Certamente! Nonostante il nome sono italiano, ho 48 anni, abito a Milano e sono un giornalista pentito, convertitosi da parecchi anni alla ricerca e alla divulgazione nel campo delle sessualità non normative. Ho scritto diversi libri sull’argomento, soprattutto sul BDSM che è anche una grande passione personale, e oltre a pubblicare sul mio sito collaboro con diverse riviste italiane e straniere. In aggiunta a questa attività principale mi occupo di personal coaching per le problematiche legate alle sessualità insolite, di educazione e formazione su questi temi, e dell’organizzazione di eventi.

Puoi spiegare ai lettori l’acronimo BDSM?

La risposta standard è che si tratta dell’acronimo di: ‘Bondage, Dominazione, Sadismo e Masochismo’ – ma c’è pure chi sostiene che le lettere centrali stiano per ‘Disciplina e Sottomissione’, o varie combinazioni di questi termini. A conti fatti è solo un modo veloce per indicare tutte quelle situazioni in cui una persona si mette a disposizione dell’altra, che decide quali sensazioni ed emozioni farle provare.

Quando e come ti sei scoperto interessato al BDSM?

Le prime curiosità le ho avute da piccolissimo vedendo scene di bondage addirittura nei cartoni animati che passavano in TV e nelle immagini sadomaso che venivano usate come metafora dalla controcultura degli anni ’70. Il primo contatto concreto l’ho avuto a 18 anni visitando un club specializzato in Olanda, e da lì in poi non ho mai smesso di esplorare e studiare questa vastissima cultura.

Come sei passato dal giornalismo alla ricerca sulle sessualità non normative?

Scrivo per mestiere da sempre, e quando all’inizio del secolo una crisi del settore editoriale mi ha spinto a lasciare il settore di cui mi occupavo mi sono preso un anno sabbatico nel quale realizzare un libro che raccogliesse tutto ciò che avevo imparato fino a quel momento sul BDSM, per rendere l’esplorazione più facile ad altri appassionati. Pensavo sarebbe stato un’opera per pochi fissati, e invece è diventato un best seller adottato anche in ambito professionale: d’un tratto ho cominciato a ricevere moltissimi ringraziamenti da parte di lettori felici perché il mio lavoro aveva permesso loro di accettarsi, o di salvare relazioni in crisi – e così ho fatto la scelta etica di continuare a impegnarmi per la divulgazione delle sessualità alternative. Da allora ho compiuto un percorso anomalo ma di grande soddisfazione in cui ho anche collaborato in progetti di ricerca e accademici, e che piano piano mi continua a portare riconoscimenti sempre più importanti. Pochi mesi fa, per esempio, è uscita l’edizione internazionale in lingua inglese del mio libro più famoso, che sta cominciando a farsi conoscere e a essere molto apprezzato perfino negli Stati Uniti, che è un po’ la patria dove la cultura BDSM è nata. Come mai la scelta di usare uno pseudonimo? Uso da molti anni un nome d’arte (come Sting, Lady Gaga o Cicciolina!) un po’ per questioni di privacy ma soprattutto perché ritengo che scegliere il proprio nome sia un atto di libertà e autoaffermazione importante.

Perché nel mondo BDSM si fa così fatica a individuare facce, nomi, cognomi, e invece altre persone portatrici di una non conformità sociale sono invece più inclini a viverla in continuità con la propria identità sociale?

In realtà molte persone si presentano molto pubblicamente. Tante altre no sia per il motivo che dicevo sopra, sia perché c’è ancora molta ignoranza sull’eros estremo e purtroppo può ancora capitare di subire gravi ricadute negative sul lavoro o sociali per colpa di chi, come nell’800, confonde ancora innocui giochi erotici con crimini orrendi e patologie mentali. Poiché non c’è nessuna necessità di sbandierare ai quattro venti come ci si diverte con i propri partner, molti scelgono una educata riservatezza e dichiarano le proprie preferenze sessuali solo ai diretti interessati.

Essere palesemente praticanti BDSM è uno stigma? Vi sono dei rischi, ad esempio sul lavoro oppure nei divorzi/affidamenti?

La giurisprudenza italiana si è dimostrata sorprendentemente ragionevole nei confronti di chi pratica BDSM, ma sicuramente nessuno avrebbe piacere a sentire la frase «…e poi mi costringeva a fare quelle cose orribili!», nemmeno se si trattasse di una palese menzogna. I rischi sociali e lavorativi sono come dicevamo all’inizio legati più che altro all’ignoranza e ai pregiudizi; benché il fenomeno 50 sfumature di grigio abbia fatto capire anche al pubblico di Rete4 che si può essere brave persone anche facendo certi giochini, in un contesto professionale non c’è alcun vantaggio nell’avere la fama del sadico o del masochista. Considera pure che è ben difficile che ci sia un motivo reale di dover dichiarare pubblicamente i propri gusti. Si tratta anche di una questione di rispetto nei confronti di chi avrebbe difficoltà a capire (per esempio: alcuni miei parenti molto anziani), senza contare che a volte questo scatena le rappresaglie e le strumentalizzazioni di chi con l’odio per il non conformismo ci si guadagna da vivere. Se hai un po’ di tempo consiglio per esempio di leggere la saga della persecuzione che mi ha colpito anni fa quando mi invitarono a tenere una conferenza in università, o la delirante interrogazione parlamentare scaturita da un’altra mia conferenza in ambito accademico.

BDSM e binarismo: si chiama “binarismo di genere” il concepire corpi, identità e ruoli come strettamente aderenti al binario 0-1 o, nel nostro caso, maschile-femminile. Anche nel BDSM vi sono dei “binarismi”: top/bottom, dom/sub, master/slave etc etc. Quanto questi binarismi sono netti e quanto sono connessi al binarismo M/F?

Ho l’impressione che il binarismo sia un po’ un’ossessione solo per il popolo del Family Day, i media e una certa frangia di attivismo, mentre parecchia gente non gli dia più di tanto importanza. Nel contesto del BDSM, per esempio, se l’immaginario si rifà ad archetipi che sono per definizione assoluti, la realtà dei praticanti è molto più fluida. Naturalmente tutti hanno preferenze personali che si sviluppano e affinano col tempo, ma lo spirito generale è di esplorazione critica di corpi, ruoli, menti e così via. Un classico è per esempio che un nuovo partner sia anche l’occasione per resettare tutto e scoprire insieme quale sia il modo di interagire più piacevole per tutti. Il genere in particolare è una di quelle barriere culturali che nel contesto di un BDSM vissuto serenamente viene superata abbastanza facilmente, anche perché la seduzione è più una questione di cervello che di cosa si ha nelle mutande o di quanto definita sia la muscolatura.

Quali differenze nelle dinamiche di una coppia di praticanti BDSM composta tra due uomini , una composta da due donne e una composta da persone di genere opposto? E da cosa dipendono queste differenze?

Ogni relazione ha una dinamica a sé stante che non si può ricondurre o ridurre a una questione di genere, proprio perché parte invece dall’anima delle persone. Le differenze dipendono più dalla consapevolezza di sé e dal livello di conoscenza delle varie pratiche, oltre che naturalmente dalle preferenze personali.

Quanto gli stereotipi di genere sociali hanno influenzato e influenzano alcuni clichè del mondo BDSM?

Direi per niente, specie se consideri che sotto lo stesso acronimo puoi trovare tanto ruoli stereotipati quanto donne dominatrici, genderbending e perfino chi si identifica con un animale. Se queste influenze sono sottolineate, di solito è per sovvertirle con personaggi tipo il manzo palestratissimo vestito da camerierina, o la signora che indossa un’uniforme da generale. Cosa si intende per genderbending nel BDSM? La stessa cosa che si intende in altri contesti: la creazione di identità che rompono gli stereotipi di genere, mescolandoli o stravolgendoli. L’esempio che viene fatto più spesso è Conchita Wurst, ma il genderbending può prendere forme anche molto raffinate e provocatorie in modo assai sottile.

Perché molte persone che non disdegnano pratiche omosessuali (sia luixlui che leixlei) nel bdsm e fuori da esso, poi si definiscono etero? Succederebbe se non ci fosse ancora uno stigma per le persone LGBT?

Non saprei risponderti, più che altro perché non riscontro questo fenomeno. Presumo che ci siano contesti sociali in cui dichiararsi “bi-curious” possa inutilmente esporre a pregiudizi, ma nell’ambito di chi definisco ‘esploratori dell’erotismo estremo’ di norma si interagisce fra persone – con tutte le loro complessità – e non fra sigle o definizioni che finiscono col causare questi problemi. Nel BDSM e nel Fetish si pratica spesso il travestitismo/crossdressing. Cosa ben diversa è quando una persona transgender è anche praticante BDSM. Rischia di essere oggettificata o fraintesa da altri praticanti (uomini o donne)? Non credo di avere capito perché le persone trans dovrebbero fare caso a sé, ma suppongo che tutto dipenda dal modo in cui ci si propone. Nella mia esperienza ciascuno viene vissuto né più né meno che con l’identità con cui si presenta: poco cambia che sia temporanea, permanente, canonica o fuori da ogni schema.

Nel BDSM conta più il genere (ovvero se una persona è psicologicamente uomo o donna) o il sesso biologico (il corpo, i genitali e la relativa attrazione per esso/i)?

Come dicevo prima, conta l’identità con cui ci si presenta. Che, detto per inciso, mi sembra anche il modo più normale e rispettoso con cui interagire in generale, non solo in contesti erotici.   Tra attivisti antibinari è diffuso lo stereotipo del manager potente e machista che poi si fa dominare dalle donne, ma solo a letto e alle sue condizioni, rimanendo comunque maschilista. Ciò accade davvero? E perchè? È davvero così diffuso? Pensa che ho dovuto fare un attimo mente locale per separare l’immagine di manager donna (o trans, come una mia cara amica)… A ogni modo, è vero che c’è chi usa il BDSM come strumento di compensazione dalle pressioni quotidiane, ed è vero che c’è chi non capisce che il bello di sottomettersi non sta nel prendere frustate ma nel poter “spegnere il cervello” e rilassarsi mentre qualcun altro pensa a prendere tutte le decisioni. Detto questo, non mi risulta che la dinamica che hai descritto sia particolarmente comune.

Come mai ha un discreto successo la mistress transgender mtf? Perché molti uomini etero si eccitano a sentirsi dominati da una donna trans? Si tratta di mariti che vorrebbero essere penetrati dalle compagne ma non hanno il coraggio di proporlo?

Qui credo che il BDSM c’entri poco e si entri in dinamiche differenti, specie se la persona trans non ha compiuto riassegnazione chirurgica. A rischio di sintetizzare troppo un discorso ben più vasto, il tabù maschile per la penetrazione anale sta statisticamente riducendosi molto: pensa addirittura al modo in cui uno strap-on viene presentato come una variante qualsiasi della vita di coppia etero in un prodotto mainstream e giovanile come il film di Deadpool. Sicuramente però ci sono tanti uomini che apprezzano il pene in sé, ma non l’intera figura maschile (anche a livello di gestualità, linguaggio, ecc.) e trovano quindi nelle trans non operate partner ideali per questo tipo di esplorazione.

Passività etero: molti uomini etero amano subire la penetrazione da donne, ma cio’ è per loro accettabile solo se la vivono come desiderio BDSM, e non come una qualsiasi pratica di coppia (chi dice che “la passiva” debba essere la donna?).

Vedi sopra. Spesso un contesto BDSM rende ogni pratica più coinvolgente dal punto di vista psicologico e permette di “lasciarsi andare” di più, ma in generale fra persone mediamente serene non mi risulta che ci siano particolari tabù in questo senso.

Ecco uno stereotipo diffuso tra profani: top nella vita ma non a letto, Dom nella vita ma non a letto…

Come dicevo qualche risposta fa, ci sono persone per cui praticare BDSM rappresenta un modo per abbandonare le responsabilità o le frustrazioni della vita quotidiana, così come ce ne sono altre per cui invece costituisce l’estensione in ambito erotico del proprio carattere e di inclinazioni naturali. Dubito quindi si possa dare una risposta universale, anche perché le relazioni sane si evolvono comunque nel tempo e possono cambiare a seconda delle circostanze e delle persone.  

Il fenomeno delle sissy: molti uomini sognano di essere umiliati da master o mistress. Si vestono da donna e spesso ne replicano gli stereotipi machisti, definendosi “cagne” o anche peggio: quanto influisce, nell’immaginarsi donna in questo modo, lo stereotipo sessista?

Sicuramente parecchio, ma in ambito BDSM è un fenomeno quantitativamente abbastanza marginale.

Alcuni uomini etero amano farsi sottomettere da altri uomini. Si puo’ parlare di bisessualità o omosessualità non accettata, o è tutta una questione BDSM?

Non credo si possa generalizzare: può benissimo trattarsi anche di bisessualità consapevole, per esempio. Va comunque detto che – fatte le debite eccezioni – chiaramente il tipo di approccio ed energie messe in gioco da un uomo sono diversi da quelli tipici di una donna e può essere interessante esplorare anche questo aspetto dei giochi, senza particolari connotazioni sessuali.

In che senso le energie maschili e femminili sono diverse?

Senza abbandonarsi alle banalità, spesso cambiano gli equilibri fra fisicità e cerebralità, fra pura forza e azione focalizzata, fra seduzione e sopraffazione… Lo stesso vale per chi domina: interagire con un soggetto maschile o femminile di solito stimola modalità di comportamento differenti.

Quanti praticanti BDSM di fatto bisessuali si percepiscono bisessuali e si dichiarano tali?

Fra chi ha questa preferenza, direi tutti. Il BDSM è un esercizio di onestà soprattutto con sé stessi, quindi se si è parte di quella cultura è difficile che si perda tempo a negare le evidenze.

Come mai si ha una maggiore apertura per la donna Bisessuale che per l’uomo Bisessuale?

Non ho notato questa differenza. In compenso va detto che di solito le donne – di qualsiasi inclinazione – hanno un approccio più sensuale ed educato, che le rende socialmente più gradite di certi uomini che ancora si comportano come trogloditi.

BDSM e Poliamore: c’è un’interrelazione? e, se si, quale?

Poiché il BDSM è sostanzialmente l’esplorazione di dinamiche insolite scaricate da moralismi e pregiudizi, chi lo pratica spesso non ha particolari preclusioni per relazioni allargate (le cosiddette ‘family’) anche molto stabili nel tempo. Le mie esperienze con la cultura poly in Italia mi hanno tuttavia dato l’impressione che molti poliamoristi dichiarati prendano la cosa con molta più leggerezza di come la si veda nella comunità BDSM, e questa differenza di approccio crea un po’ di perplessità reciproche.

BDSM e Fetish, come sono connessi?

Sono mondi paralleli, che non necessariamente si incontrano. Io di solito li spiego dicendo che il fetish – che, sarà bene ricordarlo, non è la pratica dei feticismi, ma una cultura estetica – è l’estremizzazione della seduzione, mentre il BDSM è l’estremizzazione di tutto quel che succede dopo la fase di seduzione. Spesso il legame più forte fra le due cose è in termini di dress code alle feste, dove presentarsi con un look un po’ curato dimostra di averci messo un tipo di impegno che nessuna persona in cerca solo di una scopata facile sarà mai disposto a investire.

Fetish, feticcio o fetido? quanto sono “fetidi” i feticci che in questi annunci nei vari portali vengono alla luce?

Premesso che negli ultimi anni ha preso piede l’abitudine sbagliatissima di chiamare “fetish” qualsiasi tipo di lieve preferenza, mentre il Fetish è una cosa specifica e i veri feticismi un’altra ancora, molto rara e che spesso va trattata a livello terapeutico… La curiosità, gli archetipi e l’imitazione degli stereotipi della pornografia spingono un po’ tutti a voler esplorare pratiche anche assai strane. Il mondo degli annunci è popolato in particolare da persone che per qualche motivo hanno poche occasioni di frequentare eventi nei quali conoscere di persona altri appassionati, e tende ad attrarre anche moltissimi individui che vivono l’eros soprattutto a livello di fantasie anche estreme. Sia virtualmente che dal vivo, però, escluse le pratiche non consensuali o illegali giudicare i gusti altrui, anche se molto diversi dai propri, è discriminatorio e irrispettoso. La cultura BDSM si occupa anche dello studiare modalità che rendano il più sicure possibile pure pratiche molto estreme quali per esempio il toiletplay e la body modification: una volta che come membro della comunità ho fatto la mia parte per fornire gli strumenti con cui poter vivere qualcosa nel modo più innocuo possibile per tutte le persone coinvolte, mi sembra solo civile che tali persone si divertano come preferiscono, senza dover subire i miei giudizi non richiesti.

Il BDSM è un ambiente aperto o diffidente verso i nuovi praticanti? C’è il timore dei “poser” e dei “praticanti della domenica“?

Secondo tante persone la scena BDSM è addirittura troppo aperta perfino verso personaggi improponibili. I poser si autoescludono immediatamente nel momento in cui si rendono conto che per fare BDSM bisogna sia studiare un bel po’, sia mettersi concretamente in gioco; gli sprovveduti figli di Cinquanta sfumature invece sono accolti con benevolenza, ma anche tenuti d’occhio perché le idee strampalate che derivano da fiction e pornografia conducono facilmente a farsi del male serio.

Quali i principali portali e app per chi vuole conoscere altri praticanti BDSM?

Oggi come oggi l’indirizzo di riferimento è Fetlife anche per gli italiani. App specifiche come Whiplr o Knki invece in tutto il mondo fanno fatica a prendere piede, in gran parte perché prima di passare all’azione è utile conoscere bene la persona con cui ci si metterà a giocare, e un approccio alla Grindr è più adatto a incontri sull’onda dell’ormone momentaneo.


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Billions, il personaggio Genderqueer di Asia Kate Dillons, e il binarismo nelle candidature Emmy

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Sorpresa di questo 2017 il primo personaggio dichiaratamente genderqueer nelle serie tv.

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Si tratta di Taylor Mason, impiegato genderqueer, che chiede che ci si rivolga a lui senza usare espressioni al maschile o al femminile.
E’ interpretato da Asia Kate Dillon, che aveva avuto una piccola parte in Orange Is The New Black
La serie è Billions, la stagione è la seconda.

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Ecco alcuni links che approfondiscono la notizia:
http://www.corriere.it/spettacoli/17_marzo_20/non-sono-ne-uomo-ne-donna-2c3922d6-0cd4-11e7-a6d7-4912d17b7d3e.shtml

http://www.gay.it/primo-piano/news/billions-introdotto-il-primo-personaggio-genderqueer-della-serialita-tv

http://gossip.libero.it/focus/40707390/genderqueer-cos-e-mix-di-uomo-donna-il-nuovo-gender-%C3%A8-un/genderqueer-mix/?type=

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Vista la brillante interpretazione di Asia, ora si parla di una candidatura agli Emmy, e ciò ha creato l’occasione per discutere del binarismo delle candidature nei premi di recitazione, ma non solo.

Inserisco questo estratto tratto da questa fonte

“Ciò che ho appreso attraverso la mia ricerca è che la parola actor, specialmente in riferimento a coloro che recitano in una rappresentazione, si è diffusa alla fine del ‘500 come termine neutro,” ha detto Dillon. “Si applicava a tutti, a prescindere dal sesso anatomico o dall’identità sessuale.” La parola actress, come Dillon ha scoperto, è una derivazione successiva, per definire le interpreti anatomicamente femmine.

Dillon ha quindi scritto una lettera alla Television Academy, per ricevere più informazioni possibili in merito al significato dato alla distinzione tra actor e actress da parte deimembri, per poter decidere con dati alla mano in quale categoria concorrere. Ecco un estratto della lettera:

“Vorrei sapere se, ai vostri occhi, actor e actress denotino l’anatomia o l’identità di genere, e perché sia necessario distinguerli in primo luogo. La ragione per cui spero di poter intraprendere un dialogo con voi su questo argomento è perché se, se le categorie di actor e actress sono, in effetti, atte a rappresentare la miglior performance di una persona che si identifica come donna e miglior performance di una persona che si identifica come uomo, non c’è spazio per a mia identità all’interno di questo sistema di premiazione binario. Inoltre, qualora le categorie actor e actress si riferissero al sesso anagrafico, chiedo, con tutto il rispetto, perché è necessario?”

Altri approfondimenti sul tema su questi links…

https://www.makemefeed.com/2017/04/09/asia-kate-dillon-apre-il-dibattito-sulle-candidature-genderqueer-agli-emmy-3293767.html

http://www.badtv.it/2017/04/asia-kate-dillon-apre-dibattito-candidature-genderqueer-emmy/

http://www.adnkronos.com/intrattenimento/spettacolo/2017/04/07/migliore-attore-attrice-caso-asia-kate-dillon-apre-dibattito-premi-gender_zUULATSzDuwZvPZRnrKm4N.html?refresh_ce

 


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Presidio di protesta contro i campi di prigionia per LGBT in Cecenia

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Miley Cyrus, Jaden Smith, Ruby Rose: Hollywood diventa genderqueer

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Nel 2015 Miley Cyrus, attrice che ha dato il volto ad Hanna Montana, personaggio della Disney, pensato per adolescenti, si è dichiarato/a genderqueer.

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La stampa italiana non ne ha parlato, mentre la stampa estera ne ha scritto abbondantemente, e ha prodotto divertenti fotomontaggi che evidenziano la somiglianza con l’androgino Justin Bieber.

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MIley non è l’unico vip genderfluid: Ruby Rose, nota anche per la sua partecipazione ad Orange Is The New Black ha ritratto la sua metamorfosi di genere in un video.

Non va dimenticato il figlio/a di Will Smith, Jaden, che, ahimè, ha dovuto tagliare i capelli per ragioni cinematografiche

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Se siete curiosi/e su altri personaggi di Hollywood che si dichiarano Genderqueer, ecco alcuni link , che presentano una lista di altri personaggi , guardacaso tutti molto giovani, o,come si direbbe oggi, Millennials.

In Italia questi personaggi sono stati criticati, come esibizionisti o “finti transgender”.
Io però penso che sia positivo che così tanti personaggi stiano dichiarando la loro non conformità di genere.

E voi cosa ne pensate?


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Luna Trans e il rigurgito transfobico

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Il movimento sembra spaccato sul caso di “Luna Trans”, professoressa transgender finita nel mirino mediatico poiché pubblicava foto in calze a rete in un sito Adult.

Non prendo posizioni in merito ai provvedimenti che in questi casi vadano presi (e che andrebbero presi nel caso ciò fosse successo con una donna biologica o con un uomo biologico).

Rimane un mistero come mai, in tutti questi casi, siano sempre gli adolescenti a “sgamare” gli adulti nei siti che, giustappunto, si chiamano “Adult”.

Spero solo che la vicenda non si concluda in un modo sessuofobico (come si è conclusa altre volte) e transfobico (ovvero che ci sia un attacco peggiore dovuto il fatto che la donna coinvolta è trans)

Purtroppo questi episodi non promettono bene…

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Speriamo solo che, come nel caso di Anddos e Unar, il tutto non finisca per scatenare un rigurgito di intolleranza e l’ennesima occasione per dimostrare disprezzo alle persone LGBT.


Archiviato in:ATTUALITA' T Tagged: destre reazionarie, luna trans, prof adult, transfobia

Millennials: aumentano i coming out genderqueer e genderfluid

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Uno studio del GLAAD ci dà informazioni su come i Millennials (le persone che oggi hanno tra i 18 e i 34 anni) vivono orientamento affettivo/sessuale, identità di genere e ruolo di genere. orientamento affettivo/sessuale, identità di genere e ruolo di genere.

Il sito più veloce a tradurre e riportare in italiano i dati è, ahimè, un sito contro “il gender”.  Riporto la notizia “epurandola” dai giudizi moralisti. Coloro in rosso le mie modifiche.

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[fonte]

Le nuove generazioni sono sempre più “gender fluid”. Ad affermarlo è GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation), una delle più influenti associazioni LGBT statunitensi, in uno studio recentemente pubblicato, Accellerating Acceptance 2017, che fa il punto della situazione negli Stati Uniti riguardo l’accettazione sociale dell’omosessualità e degli altri orientamenti sessuali, contemplati nel sempre più ampio acronimo LGBT+ con il quale si identifica la comunità arcobaleno internazionale.

Il sondaggio realizzato da Harris Poll, una azienda specializzata in ricerche di mercato online, come si legge nel paragrafo dedicato alla metodologia adottata, è stato condotto nel novembre 2016, intervistando 2.037 ragazzi tra i 18 e i 34 anni, di cui 1.708 eterosessuali cisgender.

Il documento di 8 pagine, dopo una breve introduzione, presenta i risultati in 4 macro punti:

  1. I giovani d’oggi sono più portati ad identificarsi come LGBTQ che le passate generazioni
  2. I giovani d’oggi sono più portati ad identificarsi al di fuori della tradizionale dicotomia binaria “omosessuale/eterosessuale” e “uomo/donna”
  3. I giovani d’oggi sono più portati ad allearsi con la comunità LGBTQ
  4. L’accettazione delle persone LGBTQ rimane alta ma i progressi sono rallentati dopo la storica sentenza sul matrimonio egualitario.

Vediamo ora i singoli punti.

I GIOVANI D’OGGI SONO PIÙ PORTATI AD IDENTIFICARSI COME LGBTQ CHE LE PASSATE GENERAZIONI

Secondo lo studio i Millenials ossia la fascia di popolazione compresa tra i 18 e i 34 anni si identificano in maniera significativa come LGBTQ rispetto alle generazioni precedenti.

Tra i motivi di tale netto mutamento culturale, fra le altre cose, gli autori sottolineano l’importanza del ruolo svolto dal sistema massmediatico con il suo incessante ed efficace messaggio di abbattimento degli stereotipi e di rimozione dello stigma nei confronti delle persone LGBT.

Tale profondo cambio di paradigma ha fatto si che, sempre secondo tale studio, i Millenials siano più di 2 volte portati ad identificarsi come LGBTQ rispetto alla generazione dei cosiddetti Boomers, ossia coloro che oggi hanno tra i 52 e i 71 anni e  il 56% in più della generazione X, ovvero la fascia di popolazione compresa tra i 35 e i 51 anni.

Ma il dato più eclatante di tutti è che, sempre secondo i dati riportati da GLAAD,  ben il 12% dei Millenials si identifica come transgender o gender non conforme, ossia non riconoscono il proprio sesso di nascita o la loro “gender expression” è differente da quelli che sono i classici modelli maschile e femminile.

I GIOVANI D’OGGI SONO PIÙ PORTATI AD IDENTIFICARSI AL DI FUORI DELLA TRADIZIONALE DICOTOMIA BINARIA

Mentre le vecchie generazioni di persone LGBTQ (dai 35 anni in su) utilizzano le parole “gay” e “lesbica” e “uomo” e “donna” per descrivere il loro orientamento sessuale ed identità di genere, i Millenials adottano oramai una nuova terminologia che supera tale classica “dicotomia” maschile/femminile.

Anche qui gli autori evidenziano l’importanza della accresciuta visibilità mediatica della “causa LGBT” che ha favorito il processo di graduale metabolizzazione sociale della sessualità, intesa non più come scelta binaria maschio/femmina, ma come spettro di infinite possibilità in perenne mutamento.

In questo senso, la ricerca attesta come gli intervistati abbiano affermato di avere tra i loro conoscenti, oltre a persone gay e lesbiche (73%), persone bisessuali (29%),  transgender (16%),  queer (8%),  asessuali (7%),  pansessuali (6%),  gender fluid (5%), bigender (4%), genderqueer (3%),  agender (29%),  insicuri o questioning gender (29%).

I GIOVANI D’OGGI SONO PIÙ PORTATI AD ALLEARSI CON LA COMUNITÀ LGBTQ

Per comprendere meglio il “grado” di supporto nei confronti della comunità LGBTQ, GLAAD ha poi suddiviso gli americani non-LGBTQ in 3 principali segmenti corrispondenti ad altrettanti gradi di percezione e accettazione della “causa omosessuale”:

  1. Alleati
  2. Supporter distaccati
  3. Resistenti

Gli studi, si legge nel testo della ricerca, mostrano che coloro che personalmente conoscono qualcuno appartenente alla comunità LGBTQ sono più propensi ad appoggiare i “diritti” LGBTQ.

Detto ciò, i Millenials, che come abbiamo visto sono più inclini ad identificarsi come LGBTQ rispetto alle generazioni precedenti, sono anche i più disposti a supportare le istanze omosex in quanto, appunto, più favorevoli ad accettare le rivendicazioni dei loro amici o conoscenti LGBTQ.

Tra i Millenials dunque il 63% si schiera tra gli alleati, il 23% tra i supporter distaccati e solo il 14% sul fronte opposto dei resistenti.

L’ACCETTAZIONE DELLE PERSONE LGBTQ RIMANE ALTA MA I PROGRESSI HANNO RALLENTATO DOPO LA STORICA SENTENZA SUL MATRIMONIO EGUALITARIO.

L’ultimo punto, infine, sottolinea come la decisione della Corte Suprema del giugno 2015 che ha sancito il diritto costituzionale per ogni cittadino americano ad unirsi in matrimonio con chi ama, al di là del sesso di nascita, abbia rappresentato uno spartiacque fondamentale nel processo di “normalizzazione” dell’omosessualità.

Tuttavia, notano gli autori del documento, nonostante ciò si è poi assistito ad un rallentamento sul tema dei diritti gay.

Ora gli occhi  (e i fucili) sono puntati sull’amministrazione Trump e GLAAD assicura che rimarrà, come sempre, vigile a controllare in prima linea che non venga fatto alcun passo indietro rispetto alle “conquiste” fin qui raggiunte.


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