Oggi intervistiamo Mario Bonfanti, che come tutti noi, ha compiuto una transizione.
Dalla Chiesa Cattolica Romana alla Metropolitan Community Church.
Dall’identità gay all’identità queer, in un viaggio di scoperta di orientamento sessuale, identità di genere e ruoli fino ad arrivare anche alla cultura BDSM.
E’ arrivata prima la vocazione o prima la consapevolezza del tuo orientamento omosessuale?
Credo sia un po’ come chiedere se viene prima l’uovo o la gallina. La consapevolezza (sia della identità sessuale sia della vocazione) è qualcosa che cresce pian piano nel tempo. Prima si hanno dell’attrazione, poco (o per nulla) riflessa. A un certo punto si inizia a pensarci un po’ sopra. Quindi sorgono domande dentro di sé, ci si interroga… e man mano cresce e si forma la “consapevolezza” di sé. E questo vale per tutti e due gli ambiti. L’attrazione verso “il sacro” era in me fin dalle elementari… così come l’attrazione verso i maschi. Ma da piccoli è un po’ tutto un gioco: giocavo a dire messa con un amico vicino di casa; e giocavo “sessualmente” con qualche altro amichetto. Crescendo ho iniziato a pensarci sopra, a interrogarmi, e anche andare in crisi… fino a maturare in me sia una chiara vocazione sacerdotale sia una certa consapevolezza della mia identità omosessuale.
Non ti chiederò di parlare della tua esperienza nel Cattolicesimo Romano, se non di cio’ che di buono ti porti nel cuore di quegli anni che ti hanno permesso di studiare teologia, di conoscere meglio Gesù, se ti va, parlacene.
Innanzitutto la Chiesa Cattolica mi ha trasmesso la fede. Poi mi ha dato la possibilità di sviluppare la mia personale spiritualità attraverso la lettura di opere antiche dei primi secoli della cristianità (gli Scritti dei Padri della Chiesa, i Detti dei Padri del deserto, i Racconti di un pellegrino russo, ecc.) e pratiche secolari che ci vengono dalla tradizione medievale e moderna (la meditazione silenziosa, l’adorazione eucaristica, la via crucis, ecc). Mi ha anche fornito tanti esempi di persone profondamente cristiane cui ispirarmi (Maria Maddalena, Ignazio di Antiochia, Francesco e Chiara, Charles de Foucauld, ecc). Inoltre – come dici tu – mi ha permesso di studiare teologia, cioè indagare con metodo e rigore la fede. In questa direzione soprattutto la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano mi ha – come spesso dico – prima distrutto tutte la mia “fede da catechismo” per poi darmi strumenti scientifici grazie ai quali ricostruire su fondamenta solide e incrollabili il mio personale credere. Mi ha anche trasmesso il desiderio e la passione della ricerca e dello studio approfondito sia della Bibbia sia delle scienze umane. Essenziale in questa direzione sono stati personaggi come il card. Martini, Elisabeth Schüssler Fiorenza, Raimon Pannikar, Adriana Zarri, Hans Kung, Eugene Drewermann… per citarne alcun*
Inizialmente la tua chiesa è nata come un gruppo indipendente, e il tuo carisma e il tuo approccio adogmatico ha permesso al gruppo di crescere molto, come raramente accade nelle chiese indipendenti. So che hanno aderito anche persone non di spiritualità cristiani: buddhisti, agnostici, liberi pensatori, persone con una spiritualità indipendente. E’ raro che una chiesa accolga queste diversità e sia così sincretica. Vuoi parlarcene?
In fondo noi siamo un gruppo “post-denominazionale”: cioè andiamo al di là delle definizioni dogmatiche e delle distinzioni tra una confessione cristiana e l’altra e, quindi, non ci identifichiamo con nessuna. Inoltre pensiamo che oggi la ricerca spirituale abbia da essere “a-religiosa”: assistiamo a un ritorno pericoloso del sacro che assume troppo in fretta il sanguinoso volto del fondamentalismo (islamico o cristiano che sia). Meglio, quindi, superare definitivamente ogni religione e camminare insieme (cattolici, protestanti, anglicani, ortodossi… ebrei, islamici, buddhisti, induisti… atei e agnostici…) nell’unico comune spirito umano che solo ci accomuna e cooperare per un mondo più giusto. Poi ognuno ha la sua strada, il suo sentiero, la sua via. E come dice il Dalai Lama è giusto che la segua. Ma per arrivare in cima a una montagna non c’è mai un solo (giusto) sentiero!
Questa peculiarità è solo del tuo centro (il cerchio) o di tutte le comunità federate nella MCC?
Noi “Il Cerchio-MCC” abbiamo la fortuna di avere tra di noi molte diversità: non siamo tutt* cristian*, così come non siamo tutt* persone LGBTIQA o etero, e non tutt* siamo famiglia o viviamo in relazioni di coppia. E questa per noi è una grandissima ricchezza perché ci preserva dal diventare un gruppo chiuso e omogeneo che rischia (magari inconsapevolmente) di arroccarsi su “fondamentalismi di senso opposto”. Anche la MCC a livello mondiale ha questa fortuna: ogni comunità è diversa dall’altra; e nella MCC l’inclusione (che è uno dei valori cardine) comporta il garantire e ammirare ogni diversità come un dono per sé e per la comunità; anche la diversità di chi non la pensa come me o non vive come me. E la sfida è quella di camminare insieme, cercando sempre di rispettarci e valorizzarci in quanto esseri umani, e di collaborare per i diritti nel mondo.
La MCC nasce da un pastore pentescostale, quindi proveniente da una delle frange più conservatrici del cristianesimo, ma è totalmente slegata, ed è invece legata alla teologia queer. Come mai il tuo gruppo si è avvicinato a questa realtà? Come mai , tra tante realtà piccole e grosse che sono LGBT friendly, proprio a questa?
Il rev. Troy Perry (fondatore della MCC) era cresciuto nella tradizione pentecostale, come io in quella cattolica: ognuno di noi nasce e cresce in un contesto che non si è scelto. Quando, poi, Troy fece coming out (siamo negli anni ’60) venne sbattuto fuori dalla sua chiesa e da lì, dopo un periodo di crisi profonda, fece la sua scelta: creare una comunità cristiana totalmente inclusiva, da cui pian piano nacque la MCC. Inizialmente era una chiesa molto identificata come gay friendly, pur avendo al suo interno da subito anche persone etero. Poi pian piano sono arrivate anche alcune donne lesbiche. Negli anni ’80 si è presentato il problema AIDS e la MCC si è aperta anche a loro e a tutte le persone con MST. Sono stati gli anni in cui si sono anche adottate delle linee guida per un linguaggio e un’azione inclusiva di tutt*, anche tutte le T persons. In questo percorso la teologia queer ha sicuramente aiutato molto e, pur non essendoci nella MCC un solo pensiero (ma pluralità di correnti), la teologia queer è sicuramente un punto di riferimento imprescindibile. Noi come gruppo ci siamo avvicinati e abbiamo aderito alla MCC, perché ci garantisce la libertà di essere noi stess* non solo in quanto persone etero o LGBTIQA, ma anche in quanto atei/agnostici, cui non viene chiesto di credere in dio nè di farsi battezzare/registrare.
La MCC ha aperture solo riguardanti le persone LGBT, oppure manifesta altre aperture rispetto ad altre categorie di “ultimi” che spesso le chiese tradizionali vogliono dimenticare? è legata anche alle teologie della liberazione?
La teologia queer nasce dallo sfondo delle teologie della liberazione. E in questa direzione la MCC è aperta ad ogni categoria di “ultimi” – come li definisci tu. Uno dei quattro valori base della MCC recita: “Ciò che guida il nostro ministero è offrire un messaggio di liberazione dall’ambiente religioso opprimente dei nostri tempi”. Questa è la direzione: offrire comunità aperte e accoglienti per tutt*. Inoltre – si legge sempre nei valori base della MCC – “siamo impegnati a resistere alle strutture che opprimono le persone e stare al fianco di coloro che soffrono sotto il peso di sistemi oppressivi, sempre guidati dal nostro impegno per i diritti umani nel mondo.”
Che tipo di formazione deve avere un pastore della MCC?
Per essere pastor* si richiede un periodo di colloqui con una responsabile mondiale che fa da mentore e introduce alla MCC. Inoltre è auspicabile che il/la candidat* si metta in rete con comunità/chiese MCC dell’area di appartenenza (per noi, per esempio, è l’Europa) e partecipi agli incontri annuali organizzati dal Network. Quindi viene proposto un ritiro (virtuale o in presenza) di 5 giorni che fa da avvio ufficiale al cammino per diventare pastor*. Poi si richiedono gli studi teologi base, più alcuni corsi specifici per la MCC (teologia queer, storia e organizzazione della MCC, un corso sulla sessualità e su come essere persone sessualmente sane e creare comunità sessualmente mature); è importante anche avere un mentore e una guida spirituale che ti sostengano, redigere un diario di pratiche spirituali per crescere come pastor* nella fede e umanità, partecipare a incontri/scambi on line organizzati per le comunità nascenti, assistere ad altre comunità già avviate e imparare partecipando (dal vivo o on line) alle loro celebrazioni. Inoltre si richiede una documentazione personale: curriculum, dati personali, certificato di sanità psicologica, certificato penale, ecc.
L’incontro con la teologia queer ti ha cambiato? Cio’ riguarda solo la tua visione spirituale o anche altri aspetti di te?
Non direi che la teologia queer mi ha cambiato. Ho piuttosto sentito una profonda consonanza tra la mia spiritualità e questo modo “irriverente” di indagare la fede e sovvertirne le strutture maschiliste di potere eterosessista. In particolare leggere “Il Dio Queer” di Marcella Althaus-Reid ha riacceso in me quell’interesse per la teologia che si era spento da tempo: dopo aver studiato per ben 9 anni questa disciplina mi era diventata noiosa e mi appariva spesso solo una “masturbazione mentale” sterile; l’incontro con la “teologia queer” mi ha fatto scoprire altri modi di ragionare sulla fede, osando strade altre per uscire dai sentieri comuni e già battuti ed entrare nei bordelli e scoprirli luoghi sacri e ben più fecondi delle accademiche e innocue facoltà teologiche. E così ho riscoperto il mio profondo desiderio di osare e battere strade “eretiche” e profetiche insieme.
La particolarità della MCC è che non guarda con “pietismo” le persone LGBT ma anzi, diversamente dalle chiese un po’ sessuofobe (ovviamente non è richiesto il celibato per i vostri pastori), esalta la sessualità anche nelle sue varianti (BDSM, fetish, poliamorismo), vuoi parlarcene?
Negli MCC Statement of Purpose si legge: “Noi crediamo che le nostre sessualità sono un dono benedetto di dio; per questo non poniamo i nostri corpi lontano o al di fuori della nostra esperienza con dio.” E una delle sfide e dei compiti che la MCC si è posta fin dagli inizi è stato riavvicinare e far dialogare la spiritualità con la sessualità. Purtroppo spesso la spiritualità viene vissuta come antitetica alla spiritualità: più una persona è spirituale e meno fa sesso; viceversa se una persona fa molto sesso lo si interpreta come il segno di superficialità e scarsa spiritualità. Nella MCC invece crediamo che il sesso è sacro e divino di per sé e in ogni sua forma: è una potente forza di vita e creatività che ci chiede di essere vissuta così com’è. Quando ero nella Chiesa Cattolica vivevo le mie inclinazioni fetish e BDSM come deviazioni/perversioni. E quel tipo di spiritualità, che separa lo spirito dal corpo e il sesso da dio, mi ha procurato tantissima sofferenza interiore, di cui porto ancora le ferite. Un giorno rimasi davvero folgorato (come San Paolo sulla via di Damasco) dalle parole che trovai in un libro (Compagni d’amore) preso in una Libreria Gay a Milano, dove lo psichiatra e psicoterapeuta Vittorio Lingiardi scrive: “In ogni esperienza amorosa e in ogni desiderio masochista è presente il tentativo di raggiungere uno stato di integrazione spirituale, almeno un compromesso tra le pretese dello spirito e quelle della carne (…) Lo spirito, infatti, vorrebbe condurre a sé la sessualità, ma questa avanza una pretesa, con la sua passione, cui è difficile sfuggire. Dall’incontro tra queste due forze può originare una disposizione assai diversa dalla religione collettiva dogmatica dominante (…) Il masochismo potrebbe essere considerato un tentativo psichico di fare del sesso un sacramento che possa “soddisfare” il corpo, mantenendolo in un regime di spiritualità”. Quando lessi queste parole dissi: “Sì: è proprio così! Il sadomaso è per me un modo di vivere la mia spiritualità! È un sacramento! È una pratica profondamente religiosa e sacra che mi permette di connettermi col divino”. Ecco. Nella MCC si vive profondamente la propria sessualità e la si indaga come luogo dove dio parla alle nostre vita. Per questo ogni sua forma ed espressione sono benvenute. L’inclusione nella MCC è davvero globale e totale e comporta anche questo!
La mancanza di binarismo di genere fa si che sia una donna sia un uomo possano essere pastori nella MCC. E se invece si trattasse di una persona trans o genderfluid?
Chiunque è già sacerdot* nella MCC: non esiste una gerarchia o casta al di sopra o separata dagli altri e che ha delle regole di accesso/esclusione. Tutt* siamo già, per il fatto di esistere, benedett* e amat* da dio (dalla vita, dall’energia – chiamatel* come volete) e quindi sacerdot*. Ne deriva che chiunque può essere pastor*: sia che sia etero o omosessuale, maschio, femmina, genderfluid, trans, intersex, o altro. In fondo se – come qualcuno dice – “dio” ci ha creat*, trovo davvero strano che poi ci venga a dire, attraverso un suo sedicente portavoce: “No tu no: non puoi essere prete perché sei trans”. Non lo trovi un assurdo?! E poi anche “dio” è queer e trans.
La tua chiesa si è costituita come associazione? Se vi sarà un’iscrizione per chi segue la tua chiesa, come risolverai l’annoso problema del rispetto dell’indentità di genere delle persone T? una persona T sarebbe veramente ferita se burocratizzata col sesso di nascita e non col genere d’elezione, e questo vale per battesimi, matrimoni, o anche per la semplice adesione.
La mia comunità non si è costituita ancora come associazione. Ci stiamo pensando… e stiamo insieme cercando forme che da una parte ci diano la possibilità di avere un minimo riconoscimento civile, senza, però, finire per essere paragonati a un circolo di Bridge (con tutto il rispetto) e dall’altra che non rischino di escludere qualcun*. Oltre alle persone T ci sono anche altr* che provano una certa resistenza di fronte all’essere tesserati e al dover aderire a una associazione: la sentono come una coercizione o una minaccia alla propria libertà. Sicuramente per noi è essenziale essere apert*, accoglient* e inclusiv* di tutt*; e comprendiamo benissimo che per una persona T il doversi registrare col nome di battesimo , quando esso non corrisponde alla propria identità, è molto doloroso. Quindi sicuramente non andremo in quella direzione! Pensa che la MCC nel 1981 ha redatto delle Linee Guida nelle quali dava indicazioni a tutte le sue comunità del mondo su come adottare un linguaggio inclusivo di tutt* E da lì anche tutti i documenti e formulari e certificati sono stati modificati affinchè tutt* possano sentirsi accolt* così come sono e vogliono essere riconosciut* e chiamat*.
Che posizioni prendete verso la GPA (gestazione per altri)?
Nella MCC non esiste un solo pensiero o una posizione univoca: l’inclusione significa anche accogliere e valorizzazione le differenze di pensiero nel rispetto reciproco di ciascun* e condividere l’impegno concreto e profetico per i diritti di tutt* nel mondo. Quindi io ti posso parlare solo della mia personale posizione sulla GPA. Fatta questa premessa, credo che attorno a questi temi si (s)muovano molti pregiudizi e si tocchino tanti tabu (e ombre) che la nostra società non vuole affrontare e, quindi, preferisce etichettare (e congelare) in modo pregiudiziale per non guardare al proprio malessere culturale. E così si (s)ragiona con la pancia, senza neppure prendere in considerazione le evidenze dei dati scientifici e le esperienze di chi già ha vissuta questa esperienza nel mondo. Io personalmente sono favorevolissimo alla GPA, se fatta nel rispetto di tutt*. Il che significa che è fondamentale che un Governo la legalizzi e regolamenti in modo non restrittivo ma a garanzia della libertà di tutte le parti. Proibire e mettere una pietra sopra la realtà è da ignoranti: da gente che ignora che il flusso della vita va avanti e se anche la copri col cemento l’erba cresce lo stesso e spacca anche quella pesante crosta dura dei divieti e delle negazioni assolute. Inoltre poi, come dico nel mio blog appena aperto su LGBT News Italia, anche Gesù è nato da GPA! E la Bibbia è piena di esempi di ”uteri in affitto” e non sempre in modi edificanti e rispettosi. Forse si dovrebbe conoscere e condannare la Bibbia più che la GPA!
E ora una domanda piccante per i nostri lettori. Ti definivi gay, ora queer. Mi spieghi che significato dài a questo termine? riguarda la tua identità di genere? il tuo orientamento sessuale? il tuo totale rifiuto dei ruoli e degli stereotipi? I nostri lettori (pansessuali, transgender, genderfluid, genderqueer e chi ne ha più ne metta) vogliono sapere se sei “dei nostri” :)
Sì prima mi definivo gay, ora queer… per diverse ragioni: innanzitutto perché esplorare più a fondo me stesso, le mie identità sessuali e anche il recente cambiamento di relazione mi ha portato da una parte a rendermi conto che io non sono solo un maschio; per cui la parola “gay” mi appare troppo riduttiva e non rende ragione del lato femminile di me, che non è affatto marginale. Questo poi mi ha anche incuriosito e stimolato a leggere, approfondire, conoscere esperienze altre (come la bisessualità, l’universo trans, l’asessualità, ecc). E congiuntamente ai corsi integrativi sulla sessualità, richiesti dalla MCC per il trasferimento della mia ordinazione come pastor*, tutte queste ulteriori conoscenze sono state un altro motivo che mi ha portato a riflettere sul potere dei presupposti teorico-culturali presenti nelle parole che usiamo anche per definirci: per cui oggi sento anche quasi come un dovere morale l’importanza di usare termini che non contengano (neppure velatamente) un modello maschilista-dicotomico-patriarcale per scegliere, al contrario, appellativi che contribuiscano allo sviluppo di una cultura fatta di rispetto e riconoscimento di tutt* e che rendano ragione della fluidità della vita che sempre si muove e muta in noi. Infine l’essere da alcuni mesi in una relazione BDSM (con un Master che è bisessuale) mi porta a essere a volte anche “donna eterosessuale”; anche per questo oggi la parola “gay” non mi corrisponde più. E – termino con una battuta (ma non troppo) – non essendoci “slave” nell’acronimo LGBTIQA, al momento “queer” è l’appellativo che più mi si addice. Anche se tutte queste etichette sono appunto etichette: noi siamo molto di più.







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