Torno dopo mesi di silenzio, in cui ho postato solo notizie d’ufficio relative ad eventi che ho contribuito a lanciare e interviste in cui era coinvolto il blog o io come autore.
Sono cambiate tante cose nella mia vita, in questi mesi, che hanno cambiato il mio modo di fare attivismo e di concepire la mia stessa vita.
Molte energie sono andate all’associazione di cui sono presidente, il Circolo Culturale (e non solo) Harvey Milk, che ha realizzato nei servizi che offre, nelle sue istanze politiche, e nell’informazione che fa tramite eventi culturali, lo spirito antibinario e inclusivo, la sensibilità verso temi collaterali (come la laicità), il sincretismo, l’ecumenismo, la trasversalità, che ho cercato di trasmettere ai miei lettori e simpatizzanti in questo progetto blog.
E’ anche iniziato un processo, nella mia vita, iniziato alla fine del 2011, che forse i miei lettori hanno saputo cogliere, vedendomi man mano interessare non tanto più in modo livoroso verso l’incapacità del mondo GLBT di essere inclusivo e di non proiettare le proprie ferite verso altri appartenenti, ma piuttosto ai mondi collaterali, potenzialmente friendly (laici, vegani, buddhisti, spiritualisti, atei, alternativi, radicali, transumanisti, poliamoristi, debianisti, liberali…) e persino apparentemente non friendly ( circolo dei fumatori di pipa, latinisti, avanguardie cristiane, intellettuali ottantenni, geni e filosofi, esoteristi, e persino un diacono ortodosso), scoprendo, con mio sgomento, di avere più comprensione, più incoraggiamenti, da coloro che sono esterni all’ambiente gay/lesbico/transessuale.
Quando mi scoprii transgender, pensai che proprio gli altri diversi, gli altri “discriminati”, avrebbero potuto (o forse dovuto), comprendermi.
Nel livore delle loro parole, rivolte a una persona ancora alla Ricerca, vi era la rabbia di trovarsi davanti a una persona simile, ma non uguale, e scoprirsi incapaci di relazionarsi in modo sano.
Per anni le lesbiche hanno decretato che ero solo una donna influenzata dal maschilismo che rifiutava la sua femminilità (teoria, per carità, accettabile, seppur non condivisibile), e il suo lesbismo (teoria meno accettabile, mi sono sempre piaciuti gli uomini).
Per anni gli omosessuali hanno sentito il bisogno di specificare che non sarebbero mai andati con un uomo senza cazzo (ormoni, non ormoni, per loro era irrilevante), e che comunque non avevo il diritto di definirmi simile a loro).
Per anni le persone transessuali mi hanno chiesto spiegazioni sul mio non affiliarmi al punturone, considerandomi un eterno confuso o principiante.
Nessuno di loro mi ha mai fatto domande sulla mia formazione universitaria e formazione autodidatta su altre tematiche a me care. Nessuno di loro mi ha chiesto della mia spiritualità, nessuno di loro delle mie idee politiche, nessuno di loro dei miei valori, di cio’ a cui tengo, o di cui ho paura, o che sogno, o cio’ che posso dare all’universo.
E cosi’, pur continuando sempre a lavorare (otto ore, tempo indeterminato), e a portare avanti la presidenza (di un circolo misto, glbt ed etero, che mi ha riconosciuto per le mie qualità e non come letterina ambigua dell’acronimo glbtq), ero segregato alla “professione intellettuale” di trans.
Questo ovviamente fino alla svolta, di fine 2011. In pochi mesi ho fatto un corso di specializzazione come certificatore energetico, ho ripreso a suonare il basso in una band di componenti etero e cisgender (non transgender), ho spinto affinché il milk entrasse nella consulta MilanoLaica e si interessasse di temi apparentemente non contestuali alla causa GLBT/binarismo, ma in realtà interdipendenti.
Nel giro degli ultimi due anni mi sono aperto al mondo, e ho deciso di vivere “come avrei vissuto se fossi stato un uomo biologico“, senza precludermi nessuna possibilità, ricerca e scoperta.
Ciò mi ha portato a scoprire che, paradossalmente, ad un gruppo di meditanti zen non interessa nulla di cio’ che ho tra le cosce e di quanto sia “scandaloso” che io mi presenti con un nome che non è nella mia C.I. Per non parlare degli intellettuali ottantenni, che forse ormai non hanno bisogno di “discriminare” (nel senso di dividere) chi hanno di fronte per capire se è potenziale preda sessuale o no, e possono relazionarsi direttamente alla mia “anima”, piuttosto che agli odori ancestrali del mio corpo. Purtroppo invece ci sono i mondi (quelli GLBT) che “ragionano” su organi genitali, da chi e come vengono penetrati, che si fa troppe domande sulla mia intimità e diritto di affermarmi per ciò che sono, aldilà di quello che loro (influenzati dalle loro ferite e proiezioni) vedono di me.
In questi mesi ho cercato di continuare a relazionarmi con le persone GLBT. Di certo mi trovo benissimo con la selezione di essere che frequenta il Milk e che collabora ad edificarne i progetti, ma è una selezione “naturale” di persone che credono nei miei stessi ideali e che sento come famiglia.
Con persone esterne a questa piccola famiglia, rimangono i problemi che riscontravo anni fa. Sembra quasi che il mio valore sia direttamente legato alla mia decisione di usare su di me il famoso “punturone“. E quindi si sindaca sul fatto che “se non uso il punturone” allora io “sto bene col mio corpo” o “mi sento di entrambi i generi” (???) e che addirittura non transiziono “perché mi piace il cazzo” (non mi risulta che agli uomini mi presento come Donnina oppure che usi “Mme LaFregne” per farmi penetrare da loro!).
Quando cancello dagli amici FB i personaggi che si comportano in questo modo, qualche terzo, che legge l’episodio, interviene dicendo “Non litighiamo tra noi, siamo nella stessa merda!“. Ecco, io non penso di essere nella “stessa merda“. Con questa gente cosa ho in comune? L’identità di genere essendo xx? Ho cercato di trasformare la mia vita in modo da avere le sicurezze che avrei avuto “se non fossi T“. Se alcuni di loro lo hanno fatto e lo stanno facendo, complimenti. Se non lo stanno facendo, non sento con loro alcuna fratellanza, e spero non mi biasimerete per questo.
Non voglio essere un vincente “nonostante T“. Io desidero essere realizzato, E anche una persona T, come sono, non so, anche un architetto, un bassista, e tante altre cose.
Vorrei avere interlocutori con cui l’argomento principale non è il passing. Le persone che mi danno il maschile sanno esattamente come è fatta la mia conformazione fisica, a meno che non siano intellettuali con cui scambio lunghissime epistole via mail, con cui, ovviamente, cosa ho tra le gambe e con chi (o se) ficco è davvero irrilevante.
Quando sono arrivato a milano avevo l’accento meridionale. Ricordo le battute di alcuni colleghi di università, che , senza fare caso alla qualità d’eloquio, consideravano ignoranti i meridionali. Attenuandosi, contro il mio volere, l’accento, dopo anni a Milano, le battute diminuirono. Cio’ è estremamente triste. E’ vero, con la transizione e il cambio dei documenti, automaticamente tutti mi rispetterebbero, come rispettano “uno che non si capisce che è meridionale“, ma io devo nascondere la mia diversità per avere rispetto?
Non vale forse molto di più un rispetto conquistato senza negare ciò che si è?
Forse un giorno transizionerò, ma non lo farò per far credere agli altri che sono nato maschio. Ho un livello di esposizione sociale tale che sarebbe, anche tecnicamente impossibile. Se lo farò lo farò esattamente per il rapporto che ho con lo specchio.
Da anni parlo di femminilità e mascolinità.
Sono andato anche a studiarmi il “binarismo” degli esoterismi occidentali, tanto criticati dal movimento GLBT, per poi capire che non ha niente a che fare con gli organi genitali delle persone e che non è poi tanto diverso dal “non-dualismo” delle filosofie orientali (anche se detto così è fuorviante, ma dedicherò un saggio all’argomento).
Ma poi un giorno, sovrapensiero, ho riflettuto su una cosa. Quando si parla di maschi e femmine, si parla di mascolinità e femminilità. Ma quando una persona viene definita “Persona” e non uomo o donna, si parla di qualcosa di più nobile: della PERSONALITA’.
Le persone nella mia condizione possono nascondersi solo ai piedi della grande campana di gauss. O tra le élites o ai margini della società.
Le persone a metà, che poi sono quasi tutte, si concentrerebbero sul mio essere T e perderebbero di vista tutte le altre identità che ci sono, oltre a quella di genere.
Di certo è estremamente importante continuare le lotte per i diritti GLBT.
Se volessi cambiare il nome sui documenti con , che ne so, Andrea (nome unisex), mi chiederebbero di aggiungere Maria, perchè il tutto deve essere disambiguo.
Perché la legge deve sapere assolutamente se tu sei uomo o donna, se è vero che i diritti tra un nato maschio e una nata femmina sono i medesimi?
Semplicemente perché, per la legge, un nato maschio ha il “diritto di sposare una femmina” e una nata femmina ha il “diritto di sposare un maschio“.
E’ principalmente per questo che una persona transgender che non fa trattamenti sterilizzanti (ormoni, chirurgia) non puo’ cambiare i documenti. Sono troppo preoccupati che se mi chiamassi Nathan sui documenti, io possa sposare le donne! (ma se sono frocio perso!).
Per questo nei paesi dove c’è stato il matrimonio gay, a ruota poi sono arrivati tutti gli altri diritti.
Ma alla lotta che faccio per i diritti GLBT, e i servizi che come milk vogliamo offrire (meditazione, cene veg, corsi di teatro…) a persone magari meno pioniere di me, che probabilmente si chiuderebbero in casa piuttosto che raccontare i cazzi propri ogni volta che mettono il naso fuori casa, voglio affiancare un messaggio, che attualmente sembrano cogliere maggiormente i non GLBT: le persone si qualificano per quello che fanno.
Nath
Archiviato in:BINARISMO, MACHISMO, RUOLI E STEREOTIPI DI GENERE, DISCRIMINAZIONI INTERNE AL MONDO GLBT, ESSERE TRANSGENDER NON IN TRANSIZIONE, GLBT E RELIGIONI, VITA TRANSGENDER
